I bambini nati due volte

Evelina Martelli: «Le Scuole della pace create dalla Comunità di Sant'Egidio sono diffuse in 70 Paesi, dalle borgate romane all'America centrale: offrono un futuro a chi è segnato dalla violenza e dalla povertà»

Cambiare, ritrovare la speranza, essere migliori, superare gli ostacoli. Non c'è mai un destino già segnato e tutti possono aprire una pagina nuova nella loro vita. Ma occorre trovare un appiglio a cui aggrapparsi per saltare oltre gli ostacoli e le culture che si oppongono ai cambiamenti, occorre scovare un seme e gettarlo perché dia frutto.
Questa è una storia di resilienza, che vale la pena di essere narrata, perché negli anni è diventata storia di rinascita per chi sembrava essere espulso dalla vita, vittima di un destino avverso, già segnato e impossibile da cancellare. È una storia di bambini, perché per cambiare il mondo bisogna cominciare da loro. È una storia che comincia nelle borgate romane, ingolfate di figli di immigrati, vita grama nelle baracche dopo un viaggio drammatico da paesi dimenticati del meridione d'Italia, l'Italia del Sessant
otto, oltre 50 anni fa, tempi della fantasia al potere, che i protagonisti della nostra storia hanno tradotto - con maggior concretezza - nel potere della fantasia, creando e organizzando un sogno, cioè una rete di prevenzione globale che a poco a poco si è
trasformata in alleanza, cruciale per costruire un futuro, decisiva per cambiare la vita.
È il lavoro meno conosciuto, ma essenziale e determinante della Comunità di Sant'Egidio
, che non si occupa solo di dialogo interreligioso, di mediazione per la pace, di mense e di pacchi viveri. La Comunità è nata su un lavoro corsaro, che solo don Lorenzo Milani a quel tempo aveva intuito come risolutivo. Era giusto un anno prima, il 1967, quando era apparso a stampa un libro dirompente, "Lettere ad una professoressa", non scritto dal priore di Barbiana, ma frutto della scrittura di otto ragazzi di quella scuola a cui il priore aveva offerto l'occasione di rinascere. C'era una scuola che bocciava, emarginava e allontanava soprattutto i figli dei poveri.
Così come don Milani, anche Andrea Riccardi e alcuni studenti romani si opposero alla fatalità sociale e politica e iniziarono a dar vita a diverse forme di resilienza - diremmo con un termine dei nostri giorni -, cioè di resistenza al dolore, aggiungendo poi a questo un preciso impegno volto a prevenire le cadute. Andarono nella periferia romana e adottarono bambini, tesero mani a coloro che venivano considerati perduti, figli dei vinti del boom economico.
Nacquero le scuole, anzi i doposcuola, eufemismo per nascondere la realtà di ragazzi che a scuola nemmeno ci andavano. Le hanno chiamate nel tempo «Scuole della pace» e oggi, diffuse in settanta Paesi, costituiscono una rete preziosa che si oppone alla violenza e ai conflitti. Le coordinano due donne, Evelina Martelli ed Adriana Gullotta, che hanno raccontato in un libro (Alla scuola della pace - Educare i bambini in un mondo globale, Edizioni San Paolo) le storie di tanti bambini che in oltre 50 anni sono rinati.
Spiega Evelina Martelli: «Bisogna spezzare circoli viziosi e purtroppo socialmente consolidati e creare un'altra storia rispetto alla fatalità della vita e alla rassegnazione che spesso la società, le istituzioni e la politica inchiodano come stigma definitivo sulla pelle dei poveri». Evelina lo dice con un sorriso e con espressione disarmante nella sua concretezza: «Abbiamo adottato bambini». Lo slogan di 50 anni fa poteva sembra ingenuo ed invece è risultato decisivo: «Per cambiare il mondo cominciamo dai bambini». Insomma, se loro rinascono sarà più facile tessere la trama di cose nuove.
Lo ha ricordato anche Papa Francesco incontrando durante una visita ad una parrocchia romana i giovani delle «Scuole della pace»: «Quello che voi fate in tutto il mondo - ha detto Bergoglio - è importante perché seminate nella vita dei bambini un seme che darà frutto».
L'importanza del dialogo
«Ogni bambino - spiega Evelina - ha in sé le energie per reagire e resistere ai problemi e alla complessità della vita, purché ne veda il senso e trovi un appiglio sul quale fare forza». E aggiunge: «Ognuno di noi deve aver la possibilità sempre di rinascere, trovare una mano tesa, scrivere una storia nuova. In contesti drammatici dove la vita vale nulla, dove i bambini sono schiacciati e messi ai margini da adulti violenti e dove da loro possono apprendere l'unico linguaggio autorizzato, quello della forza delle mani, dell'odio e della paura degli altri, l'impegno quotidiano per un'educazione diversa di tanti volontari della Comunità può cambiare moltissimo e far rinascere persone e comunità».
Spesso sono quei bambini, diventati giovani e adulti, a restituire ciò che hanno avuto e appreso sull'importanza del dialogo, dell'uso della parola per affrontare conflitti evitando così di risolverli con la violenza.
Le bande violente dell'America centrale
Dice ancora Evelina: «Chi non ha parole alla fine precipita nella disperazione, senza prospettiva di rinascita, se non quella di affidarsi alla violenza, che sembra una buona soluzione. E lo fa perché gli unici esempi che ha a disposizione portano in quella direzione. Lo abbiamo visto nelle periferie della cultura mafiosa nelle nostre città, ma anche in Africa, in Asia, in America Latina. Chi si ricorda più dei bambini soldato o dei bambini arruolati dalle bande violente dell'America centrale? Dove tutto è scuola di violenza i primi a dover essere salvati sono i bambini, altrimenti nulla può nascere di nuovo».
I bambini, invece, accade che siano i primi ad essere sfruttati, un po' addolciti dal denaro facile e dalla promessa di diventare importanti, capi e bulletti di strada, tenuti senza istruzione, educati alla cultura del nemico, alla legge del più forte, al disprezzo per i perdenti, impigliati in una rete inestricabile di abusi. È la cultura che rifiuta l'istruzione, la scuola, perfino l'affetto.
Se invece, confida Evelina, «si prende per mano un bambino, se gli si insegnano le parole, se si è convinti che anche una carezza può cambiare la vita questo è il più grande contrasto che possiamo concepire alla cultura delle mafie e della guerra. Lo abbiamo visto a Palermo alla Scuola della pace nel quartiere di don Pino Puglisi e lo abbiamo visto alla periferia di El Salvador dove le Scuole della Comunità hanno strappato alle "maras" (le gang giovanili più violente e brutali), centinaia di bambini, fino a volte ad azzerarle del tutto».
Una narrazione corale
In questi anni, di rinascite ne hanno viste tante, merito dei volontari, ma più spesso dei ragazzi a cui hanno insegnato una vita nuova. Come è accaduto a Landry, ragazzino perduto per le strade di Abidjan in Costa d'Avorio con un solo desiderio, quello di avere una famiglia, che un giorno ad semaforo incontra Christophe, uno della Comunità, che lo porta a casa sua. Oggi Landry fa la stessa cosa, esattamente a quel semaforo dove lui è rinato: ha 30 anni, una famiglia, lavora all'Istituto nazionale di igiene occupandosi di campagne di sensibilizzazione sui vaccini. O come William a San Salvador, che invece è stato ucciso a 21 anni, dai killer delle «maras», perché ai bambini insegnava che entrare nelle bande non era l'unico destino possibile.
La storia della rinascita diventa così narrazione corale di impegno, di resistenza, qualche volta di martirio, storia di madri, padri e di figli, storia di volontari e maestri, perché, conclude Evelina Martelli, «alla fine siamo un po` tutti figli adottivi». 


[ Alberto Bobbio ]