Dove eravamo negli ultimi 33 anni?

Editoriale
Non siamo stati capaci di costruire la pace. Adesso è facile scaricare tutte le colpe sull'aggressore e ne ha certamente tante - però cosa abbiamo fatto per fermare il vento della guerra?Papa Francesco ieri si è recato dall'ambasciatore russo presso la Santa Sede, sottolineando l'urgenza della pace. Un gesto concreto, immediato, fuori protocollo, che racconta tutto il suo impegno. Siamo di fronte ad un conflitto fra popoli cristiani.

Non siamo stati capaci di costruire la pace. Diciamolo forte e chiaro, senza tanti giri di parole. Adesso è facile scaricare tutte le colpe sull'aggressore - e ne ha certamente tante - però cosa abbiamo fatto per fermare il vento della guerra?
Risuonano le parole di Papa Francesco: «Vorrei appellarmi a quanti hanno responsabilità politiche, perché facciano un serio esame di coscienza davanti a Dio, che è Dio della pace e non della guerra; che è Padre di tutti, non solo di qualcuno, che ci vuole fratelli e non nemici». Papa Francesco che ieri si è recato dall'ambasciatore russo presso la Sant
a Sede, sottolineando l'urgenza della pace. Un gesto concreto, immediato, fuori protocollo, che racconta tutto dell'impegno di chi ha davvero a cuore la soluzione del confitto. Il cardinale Parolin giovedì lo ha ribadito: non è tardi per tornare al tavolo del negoziato.
Nella preghiera di giovedì sera a Sant'Egidio
, Andrea Riccardi ha lucidamente avvertito: «Nessuna Chiesa europea può dirsi estranea alla responsabilità della pace: a che giocavamo, quando c'erano cieli minacciosi di guerra? Non si tratta di giocare alla Chiesa, ma di portare la profezia della pace, come quelli che hanno ricevuto il sigillo e vincono la guerra, pagando con la generosità e la vita».
Perché la realtà che non dobbiamo nascondere è semplice e purtroppo tristissima: siamo di fronte ad un conflitto fra popoli cristiani. Diceva il Patriarca Atenagora, uomo forgiato nel complesso clima balcanico, con grande senso della storia: «chiese sorelle, popoli fratelli». Oggi le nostre Chiese sono divise... ed anche i popoli restano divisi. Sono cristiani ma non sanno comprendersi e lasciano che le questioni economiche e territoriali siano più forti della fede, decretando così il fallimento dell`ecumenismo. Non quello a parole o l'ecumenismo dei convegni, ma proprio il venir meno della visione forte di un legame comune sulla base del Vangelo che dovrebbe portare i popoli a riconoscersi nell'alveo di una fratellanza reciproca. Quando manca la consapevolezza della fratellanza, ogni società guarda l'altra in cagnesco, come se l'altro fosse un rivale o, peggio ancora, un nemico.
È un messaggio profondamente contrario all'etica e al dettato del Vangelo, di quel cristianesimo che ha pervaso la vita e la cultura. Anche - a parole - dei nostri governanti. E serve uno scatto etico per non accettare la logica del conflitto che è sempre - lo ripeto: sempre - la logica della sopraffazione, di un «lo» atrofico che vuole a tutti i costi prevalere sulla logica inclusiva, aperta, empatica, del «Noi».
Giustamente parliamo di un «ecumenismo da salotto», inefficace di fronte alla realtà, come ha sottolineato a Sant'Egidio 
Andrea Riccardi, denunciando la messa sotto al tappeto dei problemi irrisolti della convivenza, della geopolitica, di un'Europa che dalla caduta del Muro nel 1989 - e sono 33 anni! - non ha poi fatto molto per realizzare una vera civiltà della tolleranza reciproca e della cura delle relazioni autentiche. E le Chiese cristiane non sono state indenni, pervase come sono dai medesimi nazionalismi e particolarismi che scuotono le società civili.
Una seconda considerazione. L'indebolimento della visione comune, la visione del «Noi», ha contagiato la società civile come un virus più letale ancora del Covid -19. Dobbiamo anche registrare, in positivo, una mobilitazione e un movimento del fronte pacifista, perché il ruolo dell'opinione pubblica è fondamentale per spingere verso una rapida soluzione del conflitto.
Però dobbiamo pur chiederci: dove sono stati i movimenti pacifisti in questi anni? Non hanno saputo, potuto o voluto vedere i problemi irrisolti e non hanno voluto, saputo o potuto cogliere i segnali di conflitto? Certo, lo ripeto, oggi è importante assistere ad una mobilitazione delle persone e delle coscienze, è auspicabile che aumenti di intensità e di pressione. Tuttavia era doveroso prevenire il conflitto, sia da parte dei movimenti
pacifisti, sia da parte della politica di tutto il nostro Continente.
Dove eri tu? Direbbe il Dio della Bibbia; e il Vangelo ci ricorda il dovere etico e umano di non scappare via e anzi di fermarci a soccorrere la persona sofferente sul ciglio della strada. Possiamo farlo se sappiamo ritrovare le ragioni che ci uniscono, resistendo ad una politica della divisione, del contrasto, della costruzione del nemico, di volta in volta: l'altro, lo straniero, l'immigrato, il disabile, il diverso per qualunque motivo strumentale.
Agisce qui, sotto i nostri occhi, un terzo aspetto: la debolezza della visione generale del mondo. Di fronte ai problemi - la pandemia, la giustizia sociale, il dialogo tra le generazioni, la questione ambientale e climatica - rispondiamo iniziando un conflitto? Rispondiamo con la guerra? Davvero ci sono statisti, politici, intellettuali, che
vedono nelle armi la soluzione dei problemi? Mi verrebbe da dire: i Romani ed il Sinedrio hanno davvero risolto il problema mettendo a morte Gesù? Non hanno invece, al contrario rispetto al loro obiettivo, dato il via alla
più grande rivoluzione etica e religiosa della storia umana?
La debolezza della nostra visione del mondo - politica e religiosa - va corretta immediatamente. I cristiani tornino ad unirsi. L'intuizione di San Giovanni Paolo II dell'Europa a due polmoni - Oriente ed Occidente - deve dare vita a politiche sociali, religiose, economiche e culturali davvero all'altezza delle sfide dei nostri tempi.
Dove sono oggi le Chiese? Di fronte al conflitto, pensiamo che Dio ci chieda: dove sono i tuoi fratelli? Dove sei tu - uomo e donna di fede - di fronte a questa sofferenza? Dove sono i nostri politici? Il primo impegno deve andare verso la fine di ogni conflitto e l'apertura di una nuova epoca. Ce lo impone la storia, la nostra coscienza e - come se non bastasse - una rinnovata visione del mondo.
Papa Francesco si è mosso, idealmente e concretamente ieri uscendo dal Vaticano. Ma c'è di più. Papa Francesco intitola non a caso il primo capitolo della sua Enciclica Fratelli Tutti «le ombre di un mondo chiuso» e lucidamente osserva che «II modo migliore per dominare e avanzare senza limiti è seminare la mancanza di speranza e suscitare la sfiducia costante, benché mascherata con la difesa di alcuni valori. Oggi in molti Paesi si utilizza il meccanismo politico di esasperare. esacerbare e polarizzare». E precisa: «Guerre, attentati, persecuzioni per motivi razziali o religiosi, e tanti soprusi contro la dignità umana vengono giudicati in modi diversi a seconda che convengano o meno a determinati interessi, essenzialmente economici». Serve «un mondo aperto», una «politica migliore» ed una prassi ispirata alla «carità politica».
Scrive il Papa: «La carità politica si esprime anche nell'apertura a tutti. Specialmente chi ha la responsabilità di governare. è chiamato a rinunce che rendano possibile l'incontro, e cerca la convergenza almeno su alcuni temi. Sa ascoltare il punto di vista dell'altro consentendo che tutti abbiano un loro spazio. Con rinunce e pazienza un governante può favorire la creazione di quel bel poliedro dove tutti trovano un posto».
Se non avessi la carità risuonerei a vuoto. ci dice San paolo. Dobbiamo ricordarcelo tutti: Chiese, credenti, politici, cittadini e cittadine. E chiedere tutti, a gran voce, la pace vera e la reale soluzione pacifica dei conflitti.
Mai la guerra. Mai. E ricordo anche la Costituzione italiana che sancisce il rifiuto della guerra per la soluzione dei conflitti.


[ Vincenzo Paglia ]