Il Sinodo per una Chiesa moderna ed efficiente

Anticipazione

Esce in questi giorni nelle librerie il volume di Roberto Zuccolini La Parola e i poveri. Storia di un'amicizia cristiana. Carlo Maria Martini e la Comunità di Sant'Egidio (Edizioni San Paolo, 464 pagine, 25 euro, con prefazione di Andrea Riccardi). Il volume ricostruisce il legame tra il grande biblista, poi arcivescovo di Milano, e la Comunità di Sant'Egidio, amicizia nata negli anni Settanta quando Martini viveva a Roma ed era rettore del Pontificio istituto biblico.
Nella seconda parte del libro viene pubblicata una serie di interventi e omelie (in parte inediti) pronunciati da Martini in appuntamenti a cui ha partecipato insieme alla Comunità di Sant'Egidio. In queste pagine pubblichiamo un'anticipazione del volume tratta dalla relazione tenuta dal cardinale a Roma nel 1999 al convegno Cristiani e pastori per la Chiesa di domani in cui racconta come è nata la sua amicizia con la Comunità fondata 
da Andrea Riccardi e propone un'interessante lettura del Sessantotto e della contestazione alternativa a quella solo negativa che spesso viene data nel mondo ecclesiale.
In questo stesso intervento, il cardinale confessa le sue inquietudini sul futuro della Chiesa alle soglie del Terzo Millennio e, proprio sulla base del felice connubio tra fraternit e organizzazione che vede in Sant'Egidio, per la prima volta avanza la proposta - poi ripetuta al Sinodo dei vescovi sull'Europa nello stesso anno - di convocare un nuovo Concilio o un Sinodo di tutti i vescovi. E' trascorso troppo tempo del Vaticano II, sostiene, e i pastori di tutto il mondo hanno bisogno di ritrovarsi nuovamente insieme per vivere la fraternità episcopale. Il nuovo concilio dovrebbe mettere a tema proprio la coniugazione «di fraternita e amicizia, essenziali alla vita della Chiesa, con strutture organizzative solide ed efficienti». È l'idea di fondo del Sinodo sulla sinodalità?

In cammino per la pace
Sono molto contento di ritrovarmi qui, nella chiesa di Sant'Egidio. È un luogo dove torno volentieri. Conservo nella mia memoria un modo di pregare comune, corale, con quella caratteristica che sempre si ricerca nella preghiera, cioè uscire da sé stessi, trascendersi, andare al di là. A volte si incontrano preghiere comunitarie in cui la comunità sembra autocostruirsi una sua devozione, magari anche ben fatta esteriormente, ma che rischia di dimenticare l'essenziale. Invece, a mio avviso, l'esperienza migliore di preghiera è quella che fa andare oltre sé stessi e che permette di immergersi nel mistero di Dio. In tal senso potremmo definirla una forma di estasi.
Per me l'esperienza a Sant'Egidio fu molto importante proprio perché incontrai una comunità che nella preghie
ra non cercava di affermare sé stessa ma andava al di là, portava verso Dio.
La storia dei miei rapporti con la Comunità di Sant'Egidio probabilmente è simile a quella di molte altre. L'incontro è avvenuto agli inizi degli anni Settanta, anni legati ai fenomeni spirituali ed ecclesiali del dopo-Concilio e all'inizio della nota contestazione del 1968. Sono queste, dunque, le premesse per capire come mai c'è stato questo incontro.
Il dopo-Concilio ha portato tanto movimento all'interno della Chiesa ed è coinciso anche con l'inizio della contestazione. Vi erano certamente alcuni valori negativi nel movimento sessantottesco, fino a giungere, in Italia, alla violenza e al terrorismo. Ma vi erano altresì parecchi valori positivi. Innanzitutto sottolineerei la ricerca dell'autenticità: il "movimento" voleva distruggere tutto ciò che appariva scontato, banale, puramente decorativo, ripetitivo, tutto ciò che era routine, per cercare esperienze autentiche. Questa ricerca di autenticità era da considerare senza dubbio un fenomeno positivo di quel periodo postconciliare e contestatario.
Emergeva poi un grande amore per i poveri, il desiderio di essere più vicini a loro, di farsi simili a loro. Non va ugualmente dimenticato il grande bisogno di politica che coinvolgeva anche molti giovani: in tanti, insomma, sentivano la necessità di mettere mano alle riforme nella società.
Tutti questi elementi 
emergevano e traversavano l'intero contesto civile, ma non riuscivano a trovare una buona sintesi. A me poi affliggeva soprattutto la mancanza di rapporto con la Scrittura e con la preghiera da parte di tutti questi cercatori di senso nuovo. Sognavo, perciò, e cercavo luoghi in cui vi fosse ricerca di autenticità, attenzione ai poveri e uno sguardo attento alla politica ma che fosse congiunto ad un forte legame con la Scrittura, per lasciarsi guidare da essa, e da un profondo senso di preghiera. In genere, tutti coloro che manifestavano per una nuova società andavano in direzione opposta: vivevano un atteggiamento di contestazione ma senza preghiera. E, dall`altra, coloro che si immergevano nella preghiera, spesso la riducevano ad una pura ripetizione senza nessuna forza di cambiamento. Io cercavo, anche inconsciamente, se esistesse un luogo in cui queste cose potessero stare insieme, senza estremismi.
Ricordo che mi avevano parlato di questa Comunità e venni una volta qui a Trastevere, da solo, semplicemente ad esplorare, senza presentarmi. Mi fece molta impressione vedere passare nella piazza un giovane che aveva in mano un lezionario, un libro di letture bibliche. Questo mi colpì molto, perché intuii che qui si viveva un particolare amore per la Scrittura e mi sentivo in grande sintonia con questo spirito.
Fu così che, poco a poco, venni a partecipare alla preghiera, poi mi unii all'azione per i poveri e alla presenza nelle borgate di Roma. Tutto ciò mi convinceva perché partiva da un grande senso di Dio e della preghiera, da una sensibilità alla fraternità che si esprimeva nell'affrontare coralmente i problemi del giorno, quelli della povertà.
Non avevo molto tempo, ma almeno la domenica e qualche serata mi univo alla preghiera e sentivo questa sintonia che per me è rimasta molto importante e forma la base di quell'amicizia di cui ha parlato don Vincenzo Paglia, che peraltro è molto importante in tutta la comunità ecclesiale. Da allora la Comunita di Sant'Egidio è cresciuta e ha scoperto altri luoghi di impegno.
Il cammino della pace
Io ho potuto seguire quello sul dialogo tra le grandi religioni e quello per la pace con i suoi risvolti anche diplomatici. Tutte queste cose - lo ripeto perché mi pare importante - sono scaturite e continuano a scaturire da un forte senso della preghiera e 
della Scrittura. La stessa apertura ecumenica la vedo efficace e genuina perché rimane ancorata alla Parola di Dio e ad una forte comunione nello spirito attraverso la preghiera.
Anche come vescovo di una grande diocesi come quella di Milano non ho mancato di partecipare ad alcuni momenti di vita della Comunità. Ricordo con particolare gratitudine gli Incontri internazionali di preghiera per la pace, uno dei quali ho voluto che si tenesse a Milano. Sono momenti davvero importanti nel cammino ecumenico e in quello del dialogo interreligioso. Come non ricordare l'ultimo straordinario incontro in Romania, al quale purtroppo non ho potuto partecipare, ma che ha permesso di aprire la porta per il successivo viaggio del Papa!
Dobbiamo dire che dopo il primo incontro di Assisi, voluto da Giovanni Paolo II, è stata la Comunità a sostenere questo "spirito di Assisi" che sembra promettere nuovi orizzonti. Mentre nel campo ecumenico si chiudono alcuni fronti, se ne aprono altri. C'è sempre una sorpresa dello spirito.
Qualcuno di voi mi ha chiesto come tutto ciò ha potuto aiutarmi nel mio ministero pastorale. Il tempo purtroppo non mi permette di dilungarmi nella risposta, ma qualche osservazione sono lieto di proporvela. C'è anzitutto una prima sfida che sintetizzerei così: come conciliare il governo di una Chiesa che 
richiede una grande burocrazia, con la necessaria dimensione della fraternita cristiana. In certo senso è come la quadratura del cerchio.
In una piccola comunità i rapporti fraterni non è difficile viverli, ma quando la comunità cresce a dismisura (i miei fedeli sono circa cinque milioni e ci sono tremila preti) allora che cosa vuol dire fare comunità? Come essere fraternità, obbedendo allo stesso tempo a quelle regole di burocrazia, di ordine e di programmazione che devono esistere in una grande Chiesa?
In questo senso l'esperienza di Sant'Egidio mi ha non poco ispirato: bisogna mettere insieme comunità, fraternità ed efficienza. E' una sfida che ogni pastore deve accettare, ed è particolarmente urgente affrontarla nella Chiesa di oggi, sia nelle diocesi che nelle parrocchie. Se per un verso la fraternità e l'amicizia sono la sostanza della comunità ecclesiale, dall'altro non possiamo dimenticare l'efficienza e l'organizzazione proprio per sostenere la vita della comunità. Confesso che non sono venuto del tutto a capo di questo problema, che mi trova sempre più pensoso. E non cesso di pregare giorno dopo giorno il Signore perché mi dia la luce per trovare le soluzioni giuste.
Credo che sia uno dei nodi cruciali dell'intera Chiesa contemporanea. Una Chiesa che abbraccia il mondo intero, con tante lingue, con tanti popoli e culture diverse, ha estremo bisogno sia di momenti organizzativi che di momenti fraterni. Per questo mi viene in mente, per quanto riguarda la Chiesa cattolica, che forse per il prossimo millennio potrebbe essere l'ora di rilanciare un incontro conciliare o sinodale di tutti i vescovi. Dopo tanti anni dal concilio Vaticano II, i vescovi non si conoscono più, sono ormai pochi quelli che hanno partecipato al Concilio; è perciò necessario trovare un momento in cui la fraternità si esprima e si manifesti.
È una prospettiva a cui penso sempre più spesso. Essa parte, appunto, dal bisogno di conciliare fraternità e amicizia, essenziali alla vita della Chiesa, con strutture organizzative solide ed efficienti. Non si può infatti rinunciare né all'una né all'altra di queste due dimensioni. Lo Spirito deve insegnarci come conciliarle. Per questo credo che sia necessario pensare ad un nuovo evento conciliare che affronti alcuni problemi rimasti aperti o che comunque agitano la vita ecclesiale.

 

 


[ Carlo Maria Martini ]