Ucraina/Signifredi (Sant'Egidio): La mia Polonia dal cuore grande

Ampia intervista a Massimiliano Signifredi, responsabile di Sant’Egidio per la Polonia, oltre che coordinatore degli universitari della Comunità. Lo sviluppo di Sant’Egidio in Polonia, un Paese che nelle attuali drammatiche contingenze, confrontato con l’arrivo di ormai più di due milioni di profughi ucraini, ha dimostrato fin qui un cuore grande. Autorità, Chiesa e popolo unite in un’accoglienza non così scontata e suscettibile di porre già a breve problemi oggettivi di difficile risoluzione.

Prosegue la folle guerra in Ucraina, incominciata già otto anni fa nel Donbass e poi imposta all’intero Paese dall’invasione russa a partire dal 24 febbraio 2022.  Come si è già osservato, non è più tempo di sottili ragionamenti sulle responsabilità pregresse di quanto sta accadendo (che pure esistono e non sono certo attribuibili a una parte sola). L’urgenza è una: tacciano le armi e non se ne aggiungano invece sciaguratamente delle nuove, come sta capitando in Occidente, con governi e Parlamenti travolti da ventate di propaganda bellicistica o da una penosa acquiescenza a decisioni imposte da altri. Ogni arma è potenzialmente un morto in più, una distruzione in più, una famiglia di profughi in più.

Instancabilmente papa Francesco va controcorrente: sarebbe del tutto incomprensibile se la Chiesa si mettesse al seguito dei fabbricanti e dei trafficanti di armi, un turpe commercio denunciato costantemente durante il Pontificato.  Venerdì 25 marzo  alle 17.00 nella Basilica di San Pietro – in unione con Benedetto XVI e con i vescovi nel mondo – Francesco consacrerà il mondo e in modo particolare la Russia e l’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria, in linea con le note richieste della Madonna a Fatima (nel santuario portoghese presiederà il cardinale Krajewski, in qualità per l’occasione di legato pontificio).
Intanto domenica 20 marzo, nel dopo Angelus,
 Francesco ha rivolto un nuovo, vibrante appello a un cessate il fuoco immediato, definendo quanto sta succedendo in Ucraina “violenta aggressione, massacro insensatoscempi e atrocità, guerra ripugnante”. Dove “missili e bombe si sono abbattuti sui civili, anziani, bambini e madri incinte”. Milioni di persone devono scappare, tante altre devono restare, “nonni, ammalati, poveri, bambini, persone fragili senza poter ricevere aiuto”. Non si può tollerare: “Tutto questo è disumano! Anzi è anche sacrilego, perché va contro la sacralità della vita umana”.
A proposito dei profughi, poi: “Per favore, non abituiamoci alla guerra e alla violenza! Non stanchiamoci di accogliere con generosità, come si sta facendo: non solo ora, nell’emergenza, ma anche nelle settimane e nei mesi che verranno. Perché voi sapete che al primo momento, tutti ce la mettiamo tutta per accogliere, ma poi, l’abitudine ci raffredda un po’ il cuore e ci dimentichiamo. Pensiamo a queste donne, a questi bambini che con il tempo,
 senza lavoro, separate dai loro mariti, saranno cercate dagli ‘avvoltoi’ della società. Proteggiamoli, per favore”.

Chi è Massimiliano Signifredi? Romano poco più che quarantacinquenne,  laureato in lettere (e provvisto tra l’altro di un dottorato in filologia patristica), fin da quand’era studente liceale ha avuto modo di apprezzare Sant’Egidio. Oggi ne coordina gli studenti universitari ed è responsabile per la Comunità in Polonia. Non a caso, avendo imparato a suo tempo il polacco ed essendosi appassionato alla storia di un Paese che ha dato i natali a Karol Wojtyla. Signifredi è stato in Polonia tra il 3 e il 14 marzo, ci ritornerà presto e ci ha rilasciato l’ampia intervista che segue. Nell’incipit le ragioni che l’hanno portato a conoscere e amare la Polonia…
… durante la GMG del 2000 ospitai in casa mia a Roma due fratelli di Cracovia, che ricambiarono invitandomi in Polonia. Lì appresi che la loro famiglia faceva parte dello Srodowisko di Karol Wojtyla, il gruppo di amici con cui andava a sciare o in canoa. Mi fecero scoprire Wadowice, Kalwaria Zebrzydowska, Auschwitz e altri luoghi importanti... Rimasi affascinato da un popolo di cui fino a quel momento sapevo poco o niente.
Scommetto che avrai incominciato a cercare di balbettare qualcosa in quella  lingua per noi italofoni assai ostica che è il polacco…
Eh sì… mi misi per gioco a imparare la lingua. Dopo qualche tempo mi avvicinai alla storia di quel Paese, ne approfondii in particolare quella del XX secolo…
… mi ricordo un tuo articolo ne L’Osservatore Romano  del 17 agosto 2020 a cent’anni dal ‘miracolo della Vistola’, quando l’esercito polacco fermò l’Armata Rossa alle porte di Varsavia…  Poi hai scritto su Giovanni Paolo II, la fine del comunismo, l’assassinio di padre Popieluszko… insomma la Polonia è parte importante anche della tua attività di storico. Torniamo però ai rapporti, certo cresciuti nel tempo, tra la Comunità di Sant’Egidio (che tu avevi conosciuto da studente sedicenne del liceo classico Orazio) e la Polonia…
Nel 2000 Sant’Egidio non era presente nel Paese. I primi gruppetti sparsi nacquero nel 2001, però l’esordio – diciamo così – ufficiale della Comunità in Polonia come presenza organizzata fu nel 2008, in occasione del primo Convegno internazionale a Cracovia da noi organizzato, con giovani provenienti da vari Paesi dell’Europa orientale, che erano stati satelliti dell’URSS. Durante il Convegno facemmo anche un pellegrinaggio silenzioso ad Auschwitz…
Perché questa scelta molto significativa?
Ci eravamo resi conto – anch’io in occasione di un incontro a Roma di qualche tempo prima con giovani di quella provenienza– che tra loro non mancavano pregiudizi anti-ebraici. Restammo un po’ sconcertati e programmammo così per i convegnisti di Cracovia la visita ad Auschwitz. Eravamo in quattrocento. Il 2008 fu anche l’anno della guerra in Georgia e ricordo che tra i partecipanti c’erano giovani di Tbilisi e giovani russi che si incontrarono fraternamente.
Al Convegno del 2008 ne seguirono altri?
Sì, biennali. L’ultimo nel 2019, a ottant’anni dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Poi è venuta la pandemia…

SANT’EGIDIO, NON UNA ONG, MA UNA REALTA’ DI PREGHIERA E DI CARITA’

In quali città polacche è presente oggi Sant’Egidio?
A Varsavia, Poznan e Chojna, vicino a Stettino.
Ci viene in mente che durante l’Assemblea plenaria del CCEE (consiglio delle conferenze episcopali europee) del settembre 2018 a Poznan trovarono spazio, nell’ambito dell’impegno caritativo, anche rappresentanti locali di Sant’Egidio…
Abbiamo tanti amici, tanti ci stimano. Ad esempio la ‘Parola di ogni giorno’ (commentario biblico a cura di mons. Paglia) viene letta quotidianamente su Facebook da milleduecento polacchi. La nostra è una presenza giovane, ma già assai visibile nella società polacca. Il nostro nome è associato a due elementi fondamentali della nostra spiritualità. Il primo è il sostegno ai poveri come servizio gratuito. In Polonia non è un fatto banale, poiché il Paese guarda al modello sociale tedesco, dove tutto – anche la solidarietà -  si paga e spesso i volontari di alcuni enti di assistenza, anche della Chiesa, sono a tutti gli effetti dei dipendenti. Il secondo elemento fondamentale nostro è la preghiera…. Siamo una realtà di preghiera, non una Ong… e tale etichetta che a volte ci è appioppata non ci piace proprio né in Italia, tantomeno in Polonia.
In Italia siete conosciuti anche come gli ideatori dei ‘corridoi umanitari’… però quelli di cui si parla in questi giorni riguardo alle città ucraine sono qualcosa di diverso…
C’è in giro una grande confusione lessicale. Come si può parlare di ‘corridoi umanitari’ laddove si bombardano i civili? Quelle semmai sono evacuazioni… Per restare sull’argomento i ‘corridoi umanitari’ li abbiamo chiesti in Polonia nel 2016, insieme con i vescovi che hanno fatto propria la proposta poco prima del viaggio di papa Francesco a Cracovia per la GMG. Però tale proposta si è scontrata più che con un’opposizione, con una scarsa attenzione da parte delle autorità. Per autorità intendo sia quelle governative che quelle di leader politici come ad esempio Jaroslaw Kaczynski, che non a caso ha accompagnato i tre primi ministri di Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia in missione di pace la settimana scorsa a Kiev… In Polonia Kaczynski è amato o detestato. Resta il fatto che è un vero leader e con lui si deve sempre parlare delle questioni importanti per la Polonia.
L’idea dei ‘corridoi umanitari’ in Polonia è svanita nel nulla del 2016… e oggi?
Noi abbiamo sempre sostenuto che la società polacca era matura per accogliere. Quello che sta avvenendo in queste settimane, lo dimostra chiaramente. I polacchi avevano voglia di accogliere i siriani nel 2015 e negli anni successivi attraverso i corridoi umanitari e gli afghani quest’estate. A quest’ultimo proposito posso dire che la chiusura della frontiera con la Bielorussia ha provocato una profonda indignazione sociale. Non per niente sono migliaia le persone che sono andate alla frontiera per soccorrere chi cercava di entrare. In queste settimane è però evidente che l’intera società polacca, le autorità di ogni colore politico, la Chiesa, la società civile hanno messo in campo tutto il possibile per fronteggiare con un’accoglienza senza pari un fenomeno che nelle dimensioni rimanda agli anni della Seconda Guerra mondiale e immediatamente successivi. Nessuno sta con le mani in mano, come mi confermano molti amici, i cui figli studenti liceali e universitari sono passati imprevedibilmente dalla pigrizia da cellulare del divano all’impegno caritativo quotidiano. Una bella mobilitazione nazionale contro l’egoismo e la paura dell’altro, derivata anche dagli effetti della pandemia.

IN POLONIA DAL 3 AL 14 MARZO

Presumo che tu l’abbia constatato anche di persona…
Sono stato in Polonia dal 3 al 14 marzo e ci ritornerò presto…. A Poznan, a Varsavia, alla frontiera. Ovunque ho notato il manifestarsi di un grandissimo senso di responsabilità trasposto in quella che io chiamo ‘ordinata confusione’. I profughi sono ormai oltre due milioni … è come se improvvisamente in Italia si fosse aggiunta una città della grandezza di Milano. E’ vero che la Polonia ha ampi spazi, è mediamente benestante, è provvista di tante strutture: è facile però comprendere che, se lasciata da sola a gestire un’emergenza di tali dimensioni, non è in grado di farlo. Soprattutto se dall’emergenza si passa alla cronicità di una presenza stabile…
Quali rischi vedi profilarsi all’orizzonte?
Ad esempio la possibilità che molti profughi ucraini restino in Polonia, perché lì ci stanno bene, sentendosi un po’ anche a casa…. Se la ricostruzione in Ucraina non dovesse incominciare subito dopo la fine della guerra (che speriamo prossima), è prevedibile che possa accadere quanto prefigurato. C’è da aggiungere che molti profughi preferiscono rimanere in Paesi di prossimità alla loro patria… è quello che succede con i siriani in Giordania e in Libano…
… dove sono ormai un terzo della popolazione. Ben si comprende come il cardinale patriarca Béchara Raï continui a chiedere che ove possibile tornino in patria collaborando alla ricostruzione del Paese… In Polonia già c’erano prima della guerra oltre un milione di ucraini…
Nel 2021 il governo ha parlato di un milione e mezzo. Sono cifre comunque difficili da verificare, dato che a volte gli ingressi nel Paese non prevedono la residenza: è il caso di chi poi va a lavorare in Germania, in Svezia.

IL CONTATTO CON I PROFUGHI DALL’UCRAINA

L’esodo dall’Ucraina è caratterizzato da un aspetto molto particolare: è un esodo ‘di guerra’, dove predominano donne e minori, dato che gli uomini (salvo eccezioni ad esempio per i padri di tre figli) sono restati in patria a combattere. E ciò pone altre grandi e difficili sfide per la comunità di accoglienza…
Soprattutto in ambiti come quelli dell’alloggio, scolastico, sanitario. Nell’immediato ci si deve concentrare sulla gestione dei flussi. Alla stazione principale di Varsavia abbiamo due équipe di volontari che si alternano per dare aiuto ai profughi che arrivano in treno e si ritrovano subito in una vera folla di loro fratelli, che restano in loco qualche ora o, spesso, qualche giorno. I profughi giungono in grande maggioranza da Kiev e dall’est del Paese, essendo stato fin qui risparmiato (salvo che per quanto riguarda attacchi a aeroporti o alla base militare internazionale di Yavoriv) l’ovest galiziano con Leopoli e Ivano-Frankivsk.
Come contattate i profughi?
Offriamo qualcosa da mangiare, panini, zuppe calde, da bere soprattutto perché fa ancora freddo. Al di là di offrire questo sollievo per il corpo, per noi il problema è un altro: parlare con tutti e individuare i profughi in maggiore difficoltà. In un certo senso stiamo applicando il motto episcopale di papa Francesco: miserando atque eligendo.  Alla stazione di Varsavia abbiamo fatto amicizia con alcune famiglie di rom ucraini, i più poveri tra i poveri. Sono rimasto colpito dal fatto che i bambini, tanti, scrivevano e coloravano seduti sulle panchine o sul pavimento: “A Kharkiv vivevamo nelle case e i bambini andavano a scuola. Siamo ucraini anche noi!”, ci ha detto con fierezza una donna, probabilmente la capofamiglia. Molte famiglie polacche di Varsavia ci hanno offerto in comodato gratuito per l’accoglienza un centinaio di appartamenti. Perciò dobbiamo scegliere tra le migliaia di profughi quelli che rispondono alle esigenze in primo luogo di spazio a disposizione…. È un lavoro molto impegnativo e entusiasmante: dare una casa per ricominciare a vivere! Per fortuna usufruiamo anche di una rete preziosa di contatti a livello italiano e europeo che ci possono aiutare.
Hai qualche esempio da raccontare?
Quello di uno studente nigeriano che, vinta una borsa di studio per l’università di Kharkiv, raggiunta la città, il 23 febbraio aveva pagato tre mesi di affitto. Il 24 incomincia l’invasione e Kharkiv è subito presa di mira. Lo studente, con un altro compagno pure nigeriano, scappa verso la Polonia. Ci ha messo un bel po’ di tempo per arrivare alla frontiera, ciò dovuto anche al fatto che i treni erano sovraffollati e riservati in primo luogo a donne e bambini. Lo studente aveva a suo tempo conosciuto la Comunità di Sant’Egidio in Nigeria. Ha chiamato laggiù, l’hanno indirizzato a una persona che segue la Comunità ad Anversa. Quest’ultima mi ha contattato, io ho telefonato ai polacchi… siamo riusciti a fargli raggiungere Varsavia, l’abbiamo ospitato per qualche giorno, poi è partito per Anversa…

RAZZISMO POLACCO? QUALCHE EPISODIO IN UCRAINA E IN POLONIA, MA OPERA DI SINGOLI… NIENTE GENERALIZZAZIONI ARBITRARIE!

A proposito di profughi non di nazionalità ucraina, saprai che qua e là  sono state alimentate polemiche su un presunto razzismo dei polacchi…
Polemiche avulse dal contesto e dalla realtà sul terreno. Io di episodi di razzismo non ne ho notati. Però ci sono stati certamente, considerati i racconti fatti da diversi profughi dall’Ucraina. Discriminazioni ne sono avvenute anche nella stessa Ucraina, oltre che in Polonia. Ma sono episodi singoli e sarebbe ingiusto e non rispondente alla realtà affibbiare l’etichetta razzistica a un intero popolo. Che, invece, ha dimostrato una grandissima generosità.
La Comunità di Sant’Egidio era presente in Ucraina? E oggi c’è ancora?
Noi abbiamo comunità a Kiev, Leopoli, Ivano-Frankivsk e Kharkiv. A Kiev eravamo in un centinaio e siamo restati in una quindicina. Gli altri sono andati all’ovest, alcuni hanno passato la frontiera polacca, altri sono ormai in Germania. A Leopoli e a Ivano-Frankivsk le comunità sono impegnate allo stremo nell’accoglienza.

LA CLASSE DIRIGENTE POLACCA AGISCE IN MODO RESPONSABILE, SULLO SFONDO DELL’ESPERIENZA DI SOLIDARNOSC

Impossibile oggi fare previsioni sulla durata della guerra e dunque anche sull’afflusso di profughi in Polonia. Ti senti di dare fiducia comunque alla classe dirigente polacca?
E’ una sfida molto ardua quella che la Polonia si trova ad affrontare. Non possiamo però dimenticare in quale modo straordinario, senza spargimento di sangue, il Paese ha accompagnato la transizione dal comunismo alla democrazia negli Anni Ottanta-Novanta. Alle autorità non è mai mancato il buonsenso. L’odierna classe dirigente si è formata proprio a partire dall’esperienza di quegli anni, incarnata da Solidarność. Gli stessi fratelli Kaczynski facevano parte del movimento e ne rappresentavano una componente importante. L’attuale primo ministro, Mateusz Morawiecki è figlio di Kornel Morawiecki, una ‘leggenda’ di Solidarność, grande lottatore e leader del movimento in clandestinità.  Gli odierni governanti appartengono alla destra conservatrice e hanno un consenso popolare ampio, godono di grande autorevolezza anche perché hanno avviato una politica di crescita importante, ancorando l’economia polacca a quella tedesca, introducendo strumenti illuminati, d’avanguardia di sussidio sociale, come quelli che accompagnano, favorendola concretamente, la vita della famiglia. Inoltre pure l’opposizione è guidata da un politico di spessore: Donald Tusk, già primo ministro e poi presidente del Consiglio europeo.
Che cosa sta facendo il governo per la necessaria integrazione dei profughi ucraini che prevedibilmente resteranno in buon numero in Polonia?
Mirando a creare le condizioni di una vera integrazione, il governo si sta muovendo con molta accortezza. Ad esempio il decreto speciale di questi giorni per affrontare l’emergenza contiene misure molto favorevoli per i profughi che potranno ricevere un sussidio sociale, mandare i figli a scuola, usufruire di una copertura sanitaria. C’è solo un piccolo paragrafo aggiuntivo che per noi è problematico: il decreto riguarda i profughi ucraini e non tutti quelli che sono fuggiti dall’Ucraina. Il che significa che, sempre che lo vogliano, gli studenti nigeriani ospitati a casa nostra dovranno inoltrare la domanda d’asilo e affrontare le strettoie della burocrazia. Eppure anche loro sono scappati a causa della guerra!
Si può immaginare comunque che anche l’applicazione del decreto speciale per gli ucraini non sarà facilissimo, viste le dimensioni dell’esodo…
Sì, è nella logica della situazione che l’applicazione sarà ardua. Nelle scuole polacche non ci sono insegnanti a sufficienza, alcune scuole poi sono state requisite per farne centri di accoglienza…. Poi un problema enorme è quello di riuscire a gestire da un giorno all’altro milioni di domande di sussidio. Lì non ci sono spid e altre sigle, resta sempre la carta bollata col timbro… si prevedono file chilometriche. Anche in ambito sanitario ci saranno difficoltà. Ma questo, ripeto, rientra nella logica di una situazione eccezionale…
Si può anche temere che a medio o lungo termine sorgano difficoltà nei rapporti tra polacchi e ucraini, che nella storia – come negli Anni Quaranta del Novecento – non sono mai stati idillici?
Direi complicatissimi se pensiamo che nel 1947-48 è dovuto intervenire personalmente Stalin per far cessare le stragi reciproche commesse da formazioni guerrigliere ucraine (già alleate di Hitler) e frange impazzite della resistenza polacca. Certo per il momento il ricordo di quei momenti dolorosi non riemerge, ma se si dovessero registrare episodi di cronaca nera con protagonisti polacchi e ucraini nell’opinione pubblica potrebbero manifestarsi tendenze inquietanti…

LA CHIESA POLACCA? APRITE LE PORTE A CRISTO!

C’è ancora qualcosa che ci tieni a evidenziare?
Riguarda la Chiesa polacca, che nelle sue dichiarazioni anche ufficiali degli ultimi anni è sembrata a volte distanziarsi su certi punti dal pontificato di Francesco. In queste settimane la stessa Chiesa si sta invece dimostrando in linea con papa Bergoglio. In linea nei fatti, nell’azione formidabile di soccorso a chi ne ha bisogno. Non so quanti vescovi e parroci hanno aperto le porte delle curie e delle canoniche ai profughi: un fatto mai successo, di cui i sacerdoti sono orgogliosi. Anche i seminari hanno ceduto ampi spazi ai profughi. Insomma: Aprite le porte a Cristo! In Polonia la risposta la si trova nei fatti. Ed è molto positiva.

 

 


[ Giuseppe Rusconi ]