Tra chi vive a Leopoli e neanche può fuggire

C'è chi non può scappare, l'altra guerra è la povertà

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L'Ucraina, negli ultimi 20 anni, ha combattuto una battaglia durissima contro la povertà. Ma i poveri nel 2019 erano ancora tanti, tantissimi: quasi quattro persone su dieci avevano una capacità di spesa sotto al livello minimo di sussistenza (115-130 euro). Le persone più a rischio povertà erano e sono anziani soli, ma anche genitori single e le famiglie con più di tre bambini.
La povertà, insomma, non riguarda solo i pensionati. Anzi. Una persona su due non poteva permettersi una spesa imprevista. Una su cinque non riusciva a pagare in tempo affitto, mutuo o bollette. Questa la situazione fotografata da uno studio Unicef di tre anni fa, quando il Prodotto interno lordo pro capite era già tra i più bassi d'Europa. Poi è arrivato il Covid. Ora i russi.
«I problemi della guerra sono così grandi - feriti e città distrutte - che l'altra realtà, quella della vita quotidiana, non si vede. Ma poveri ce ne sono sempre stati e purtroppo la povertà sarà sempre di più», mi dice Yuriy Li Fan Se, il coordinatore per l'Ucraina della Comunità di Sant'Egidio
. Lo incontro nel suo nuovo ufficio di Leopoli, in quello che fino poco tempo fa era ancora un ristorante. La sede principale della comunità stava a Kiev, come Yuriy. Ma ora è troppo pericoloso. Il 16 marzo, un razzo è finito proprio nel quartiere universitario della capitale e ha danneggiato la Casa dei giovani per la pace della Comunità di Sant'Egidio che sta proprio lì vicino. E così è arrivata la scelta di trasferirsi qui, per continuare a lottare sempre a fianco dei fragili, dei vecchi e nuovi poveri.
«A Leopoli - mi spiega Li Fan Se - abbiamo un grande magazzino dove riceviamo gli aiuti che arrivano da fuori. Ora abbiamo cento tonnellate da spedire. Il cibo che portiamo è importante. Le medicine che portiamo sono importanti. Ci sono città, come Mariupol, dove non c'è più niente. Manca tutto. Non c'è riscaldamento, non c'è da mangiare. Non c'è neanche la primavera: oggi (il 1° aprile, ndr) è nevicato».
Il punto è proprio questo. La guerra, secondo le prime stime delle Nazioni Unite ha distrutto qualcosa come 100 miliardi di infrastrutture e un numero imprecisato di abitazioni. Per molti, che si sono ritrovati la casa, o addirittura l'intera cittadina distrutta, vuol dire essere rimasti senza niente. Non solo. Oggi, sempre secondo le Nazioni Unite, metà delle imprese del paese è stata costretta a fermarsi. L'impatto sul Prodotto interno lordo è stato devastante: 16%, secondo i dati ufficiali del governo. Ma se la guerra dovesse continuare, questo sarebbe niente: il governo ucraino stima, in quel caso, una frenata del Pil nel 2022 del 40%.
Anche le Nazioni Unite vedono un futuro nerissimo se il conflitto non si ferma: la povertà potrebbe arrivare a colpire 9 ucraini su 10. Ma anche se queste fosche previsioni non si dovessero avverare, resta un dato di fatto: moltissimi, già ora, sono rimasti disoccupati. «Anch'io ho perso il lavoro», mi racconta Natalia Fedorova, una della volontarie più attive della Comunità di Sant'Egidio
, anche lei di Kiev, anche lei scappata a Leopoli con suo figlio, dove si occupa di gestire gli aiuti e tenere i contatti con i tanti, soprattutto anziani, rimasti nella capitale e bisognosi di aiuti. «Lavoravo come interior designer. E' cominciata la guerra e sono finiti gli ordini. Per fortuna mio marito, invece, continua a lavorare ed ha un buon posto. E poi io ho la comunità che mi aiuta. Sono fortunata, ma tanti no».
Tanti come Yuri o Natalia sono arrivati da Kiev o da qualche altra parte finita sotto attacco dei russi per riparare a Leopoli dove invece i combattimenti non sono ancora arrivati, ma sono stati meno fortunati di loro. Ne incontro alcuni a fare la fila per ritirare un pacco di aiuti in uno dei tanti centri di distribuzione della città. Sono le nove di un mattino gelido, in coda ci sono già una cinquantina di persone. Domando a voce alta se c'è qualcuno che parla inglese. Mi risponde Hanna e il «cognome no, per favore. E niente foto». Ha 42 anni, quattro figli e un marito che è rimasto nella loro città natale, Dnipro, a est dell'Ucraina, non lontano dalla linea di fronte. «Non ci hanno bombardato, ma hanno lanciato razzi. Così, a inizio marzo, sono partita con i bambini. Abbiamo viaggiato in 200 persone in un unico vagone, ore e ore, sempre in piedi», mi spiega Hanna. Che mi racconta che prima della guerra e della fuga, aveva un buon lavoro: «Ho una laurea in economia, lavoravo in una società che costruisce strade. Ora è tutto fermo, è chiusa. Anche mio marito, che è rimasto a Dnipro, lavora ma solo poche ore a settimana».
E le cose si sono fatte dannatamente complicate. Certo, lo Stato la sta aiutando come aiuta tutte le persone nella sua situazione. Ma non basta. «Io ricevo 2.000 grivnie al mese (poco più di 60 euro, ndr) più 3.000 (90 e rotti euro, ndr) per i bambini. Ma qui a Leopoli abbiamo affittato una casa e...». E così eccola qui.
«Voglio dei dolci per i miei figli e prodotti per l'igiene. Il cibo, prima della guerra, era molto meno caro. I prezzi, secondo me, saranno andati su di un 2030%. La mia è una famiglia grande, io ero abituato ad andare nei grandi supermercati, quelli dove si spende meno, e fare la spesa grossa. Qui, non ho nemmeno la macchina». Il cellulare di Hannah squilla. «Scusa un secondo... Erano i proprietari della mia azienda. Vorremmo tanto ricominciare a lavorare. Speriamo che la guerra finisca». E se non dovesse finire tanto presto? «Con i miei risparmi e gli aiuti possiamo resistere qui a Leopoli per 2 o 3 mesi». Poi? Hanna allarga le braccia. «Ci sono tante persone come me che hanno perso il lavoro. Tante. E tra l'altro io avevo una buona vita almeno paragonata a tante persone qui in Ucraina. Una casa grande, una macchina, facevamo un viaggio all`'nno...». Che si sarebbe trovata in coda per il cibo non se lo sarebbe immaginato mai. Eppure è successo. Chissà cosa succederà, ancora.


[ Antonio Cavaciuti ]