L'umanità? Si ricuce con gli aiuti

L'impegno di Sant'Egidio in Italia e in Ucraina: «Ma ora serve una tregua»

«Arrivare alla pace dopo tanto odio, sangue e violenza a causa dell'aggressione russa è difficile. Ma bisogna tentare. E pensare al domani. Noi speriamo e preghiamo che si possa iniziare a parlare di ricostruzione dell'Ucraina e ritorno a casa dei profughi». Al 50° giorno di guerra, il presidente della Comunità di Sant'Egidio Marco Impagfiazzo fa il punto sulla "resistenza solidale" degli aiuti agli ucraini, in patria ed espatriati. Generi di necessità raccolti e spediti in Ucraina, dove vengono smistati dai volontari delle comunità locali di Sant'Egidio. E rilancia l'appello del Papa «per una tregua pasquale».
La preoccupazione maggiore è per chi non può fuggire e resta in balia dei bombardamenti e delle violenze degli occupanti: «I civili - ricorda Impagliazzo - stanno morendo a migliaia. Tanti anziani rischiano la vita bloccati negli istituti, malati, non autosufficienti o isolati senza cibo, acqua e medicinali». Sant'Egidio ha scelto di «resistere alla violenza della guerra con la solidarietà e l'umanità».
Impagliazzo rilancia l'accorato appello del Papa per un cessate il fuoco: «Chiediamo a tutti i responsabili di fermarsi per una tregua pasquale che porti al cessate il fuoco il più presto possibile, perché la gente sta morendo. Vogliamo sostenere la tregua Pasquale chiesta da Papa Francesco. In Ucraina la Pasqua viene vissuta questa domenica per le comunità cattoliche latine, la prossima domenica da quelle bizantine, sia cattoliche che ortodosse. Una tregua risparmierebbe molto sangue».
I profughi accolti finora in Italia da Sant'Egidio sono 621, «solo a Roma sono 210, gli altri in Piemonte, Valle D'Aosta, Liguria, Campania, Sicilia, Lombardia, Toscana. Complessivamente le Comunità in tutta Europa, soprattutto nei Paesi dell'Est, hanno accolto circa 1.500 ucraini. Qui in Italia - spiega il presidente di Sant'Egidio - molti di loro si sono presto messi a disposizione dei connazionali».
«Arriviamo spaventati, angosciati dal futuro - racconta alla conferenza stampa Giulia, profuga ucraina - perché non si può vivere tra le sirene e le bombe che arrivano in testa. Qui abbiamo trovato accoglienza e amore, stiamo seguendo corsi d'italiano, i nostri figli vanno a scuola e hanno nuovi amici».
Sant'Egidio ha raccolto e inviato con i tir 110 tonnellate di aiuti, tra cui un camion carico di biancheria e plaid regalati dall'azienda Yamamay. Impagliazzo sottolineala grande richiesta di farmaci e materiale sanitario: «Abbiamo inviato 73mila confezioni di medicinali, con particolare attenzione alle persone dializzate. Un'altra richiesta riguarda i farmaci per la cura della tiroide - spiega - di cui la popolazione ucraina ancora soffre a causa dell'incidente di Chernobyl. E ancora, servono insulina e anti emorragici, anestetici e materiali per le medicazioni dei feriti e degli ustionati, che purtroppo sono tanti».
In collegamento da Leopoli, centro di smistamento in Ucraina degli aiuti della Comunità, Yuriy Lifanse spiega che «grazie ai volontari nel Paese riusciamo a portare gli aiuti direttamente ai profughi, a Kharkiv, Bucha, Dniepr, Kiev. A Mariupol no, purtroppo è impossibile far arrivare aiuti, lì molte persone sono bloccate nei rifugi, a volte sotto le macerie». C'è chi riesce a fuggire in modo rocambolesco: «Un ragazzo - racconta Yuriy Lifanse - è riuscito a mettersi in salvo con la sua famiglia da Mariupol, ha dovuto nuotare per due ore nel mare gelido. Lui è giovane e ha potuto farcela. Ma ci sono tanti anziani e malati che non possono affrontare viaggi simili». Dunque la tregua chiesta dal Papa "è importantissima - insiste anche il volontario ucraino - perché potrebbe salvare migliaia di vite. Anche qui a Leopoli le difficoltà sono tante, non ci sono più posti per far dormire gli sfollati, perché con l'arrivo dei profughi la popolazione è aumentata del 30 per cento. Abbiamo bisogno di festeggiare la Pasqua senza scappare per gli allarmi"


[ Luca Liverani ]