In fuga dalle bombe qui ho trovato riparo. Alla ha lasciato la sua città in Ucraina ed è arrivata a Milano, dove è ospite di una casa famiglia per anziani di Sant'Egidio

In fuga dalle bombe qui ho trovato riparo. Alla ha lasciato la sua città in Ucraina ed è arrivata a Milano, dove è ospite di una casa famiglia per anziani di Sant'Egidio

Risotto al gorgonzola e bliny nalìstniki di carne macinata: nell’alloggio-comunità per anziani di Sant’Egidio a Milano, quartiere Lambrate, il pranzo è fusion, vai a sapere se per via del repertorio culinario ormai contaminato della badante ucraina Lyuba, che vive qui da vent’anni, o in omaggio alla nuova ospite della casa, Alla. Lei apprezza, come peraltro le altre signore italiane con cui da quasi due settimane divide questo grande appartamento confiscato alla criminalità organizzata.

Quando in Ucraina è scoppiata la guerra, Alla non immaginava di dover lasciare la sua casa, a Zaporizhzhia, ma poi il 4 marzo i russi hanno aperto il fuoco attorno alla centrale nucleare provocando lo spaventoso incendio che ha tenuto il mondo con il fiato sospeso e prendendo il controllo degli impianti, e lei non ha avuto altra scelta. Al treno per Lviv l’ha accompagnata suo figlio, che abita con lei ed è rimasto lì, come suo fratello che lavora a Kiev ma è riuscito a mettere al sicuro sua moglie e il loro bambino di sei anni in Olanda. «In quel momento non ho avuto paura di una catastrofe nucleare o delle sue conseguenze», ci racconta grazie alla preziosa traduzione di Lyuba, originaria della stessa città, «volevo solo andare via da tutto quello che stava succedendo, allontanarmi subito per tornare non appena fosse finito». A Lviv, pensava. Ma quando è arrivata lì, in mezzo a quella folla confusa e caotica, non sapeva più bene che cosa fare. Allora ha seguito le persone che prendevano tutte un autobus per la Polonia e lì è rimasta per un paio di giorni. Ogni giorno vedeva autobus che partivano, tanti per l’Italia: Alla (che nella sua vita si è sempre spostata tanto, ha fatto gite e viaggi pur senza mai uscire dal suo Paese) ha pensato che si trattasse di una gita e che le sarebbe piaciuto vedere l’Italia.

Una gita, proprio così dice, e per questo è salita su quell’autobus che l’ha portata a Milano, dove poi la Comunità di Sant’Egidio si è presa cura di lei.

«La sera in cui è arrivata qui però Lyuba non c’era: non capivamo niente, per fortuna c’erano i volontari che con il traduttore sullo smartphone sono riusciti a comunicare con lei», racconta Mariuccia, 91 anni compiuti a dispetto del suo portamento regale. Ora va meglio, tra un buongiorno e uno spacìbo. Anche se forse Mariuccia, che la guerra se la ricorda bene, le vorrebbe dire di più. «Noi eravamo sei figli, mia mamma che aveva vissuto anche la Prima guerra mondiale era terrorizzata, e terrorizzava noi. A ogni sirena si precipitava da noi gridando Su, su fioeu che ghe la ghera (“forza ragazzi che c’è la guerra”,
ndr) e ci trascinava giù in cantina nel rifugio». Se la ricordano tutte la guerra, chiaro. Anna, 90 anni, sfollata a Milano da Castelvecchio, sull’Appennino emiliano, quando «i fascisti hanno bruciato tutto, la nostra casa, i nostri animali, tutto».

Luigia, 86 anni, milanese di Porta Ticinese, appena tornata dal mercato con tre camicette nuove. «La guerra? Basta che non ne venga un’altra, perché non posso ricordarla. A me e alla mia famiglia ci hanno tirati fuori dalle macerie in via Lomazzo, dove c’era la nostra casa e il negozio di frutta e verdura di mia madre. Eravamo vivi, ma non avevamo più niente. Siamo sfollati sul lago Maggiore e tornati a settembre del 1945». Ricordi che adesso si fanno più vividi, così, con l’aiuto di Riccardo Mauri, responsabile del progetto di Sant’Egidio, le signore della casa alloggio di Lambrate hanno fatto un appello per la pace, rivolto ai potenti e a tutti noi. “Chiediamo di non sprecare il dono grande della pace, conquista faticosa di chi ha vissuto la guerra e soffre nel rivederla vicina e lontana da noi”. Alla intanto si è ambientata, le hanno procurato le sue medicine, sente ogni giorno suo figlio e Lyuba non le fa mancare mai il pane nero, l’unico che mangia. «Non mi aspettavo di arrivare in una casa dove tutti si preoccupano per me, davvero», ci dice come a scusarsi di quel che sta per aggiungere, e cioè che vuole tornare a casa. Non quando tutto sarà finito, quando sarà tornata la pace, quando Zaporizhzhia sarà un posto sicuro.

Adesso. «Io voglio tornare nella mia città, è lì che devo stare, è quello il mio dovere. Voglio essere vicino agli altri ucraini, voglio coltivare il mio orto, curare la mia casa. Voi mi capite, vero?».
 


[ Rossana Linguini ]