L'eredità di Martini: mettersi in mezzo a chi si combatte

L'eredità di Martini: mettersi in mezzo a chi si combatte

Un convegno in Cattolica ricorda il gesuita biblista che guidò la diocesi dal 1980 al 2002. Delpini: «Prefigurò l'evoluzione verso la società plurale». Riccardi: «Pastore del Concilio». Giovagnoli: fare la pace è intercedere

Fu una «scelta provvidenziale», quella di Giovanni Paolo II, di inviare arcivescovo a Milano il biblista gesuita Carlo Maria Martini. In Martini si ritrova «una sapiente lettura del mondo contemporaneo» che lo rende «avanti, aperto, attrattivo», spiega l'arcivescovo Mario Delpini, mettendo in evidenza tre temi: «La sinodalità come metodo e come pratica», la sua capacità di illuminare «l'evoluzione di Milano verso una società plurale, multietnica, multireligiosa, multiculturale»; infine «la destinazione prioritaria alla singola persona», come mostrano la sua predicazione o «l'insistenza sul discernimento personale».
«Milano, tra Gerusalemme e Roma, è stata la sua vera città, che ha amato volendola conoscere e ascoltare - incalza lo storico Andrea Riccardi -. Qui ha avuto una responsabilità pastorale, presa sul serio fino in fondo, ma anche un gran compito di governo e di crescente leadership spirituale in anni difficili, dal terrorismo alla corruzione, alla depressione della città».
Sono, queste, alcune tessere del complesso, affascinante mosaico restituito dal convegno "Carlo Maria Martini: un vescovo e la sua città" organizzato dall'Università Cattolica (con il Consiglio delle Chiese cristiane di Milano) nel decennale della morte del porporato e a 20 armi dalla fine del suo episcopato ambrosiano. Un'occasione per (ri) conoscere l'originalità e la fecondità della sua figura e del suo magistero, grazie al contributo di studiosi e testimoni autorevoli.
Qualità evidenziate fin dai saluti introduttivi del rettore della Cattolica Franco Anelli che ha sottolineato la capacità di Martini di sedurre Milano anche per la via intellettuale e di padre Carlo Casalone, presidente della Fondazione Martini, che ha ricordato come il suo confratello seppe illuminare, già negli anni di Roma, il legame fra Parola di Dio, poveri e impegno per la giustizia. Giunto poi in una Milano sferzata dalla violenza politica e dall'emergere di nuove povertà, «insegnò a non perdere la speranza di fronte al male», promosse «una comunità basata sulla solidarietà» e seppe «disarmare attraverso la parola», ha affermato il sindaco Giuseppe Sala richiamando la vicenda dei terroristi che nel 1984 consegnarono le loro armi non alla pubblica autorità ma in arcivescovado, a manifestare la loro volontà di superare la lotta armata e cercare vie di riconciliazione. Vie che Martini aveva saputo aprire e incoraggiare con la sua capacità di ascolto e dialogo e la sua autorevolezza.
Un abitare il conflitto da «artigiani di pace» (direbbe papa Francesco) nello stile dell'«intercedere», ha affermato Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea della Cattolica, riprendendo il magistero di Martini sulla guerra, ancor più prezioso nell'attuale scenario dell'aggressione russa all'Ucraina. «Per Martini la risposta al conflitto, tanto più se armato, è nell'intermediazione, nel mettersi in mezzo fra coloro che si stanno combattendo», «una scelta spirituale ma anche un'indicazione concreta».
Alla scuola della Parola - la bussola di tutta la vita di Martini - si impara «la scelta per l'intercessione»: nella preghiera e nell'impegno «non a parlare di pace ma a fare la pace» il credente «intercede insistentemente presso Dio per le vittime». E «si ritrova a stare da una parte» ma «senza odiare l'altra».
«La qualità della persona, la sua capacità comunicativa, l'attrativa dei valori che propone»: ecco i fattori che hanno interagito dando autorevolezza a Martini e rendendo «incisiva la sua azione pastorale», ha suggerito Delpini, ricordando «la fiducia» di Martini «nella parola parlata» quale aspetto di quella «cifra qualificante» il suo magistero che fu la centralità della Parola di Dio.
Martini è stato «un grande vescovo di Milano», che guidò dal 1980 al 2002, «ma anche un leader spirituale in Italia e in Europa», ha insistito Riccardi. «Vescovo milanese, ma anche cosmopolita, ricordava la vocazione della sua città a chi allora la vedeva in modo localista o separatista». E «fu vescovo del Vaticano II quasi come fu san Carlo per il Concilio di Trento». Fu, dunque, «vescovo di un mondo globale» nel quale portò la spinta del Concilio «verso un mondo unito e fraterno».
Al teologo Pierangelo Sequeri, infine, il compito di illustrare l'originalità dell'impulso dato da Martini al nesso tra teologia e predicazione. Invocando una teologia che «aiuta il credente a pensare». E la riscoperta del «canone biblico» quale «lingua materna dell'umano».


[ Lorenzo Rosoli ]