La profezia di pace di La Pira: serve dialogare con il nemico

A Perugia il convegno sul sindaco "santo". Andrea Riccardi: nella Chiesa italiana è salito in cattedra grazie al cardinale Bassetti «La logica dello scontro? Sempre perdente anche se si vince la guerra»

Il sogno, o meglio l'auspicio, lo rivela Mario Primicerio che di Giorgio La Pira è stato uno stretto collaboratore e, come il parlamentare Dc, è stato primo cittadino di Firenze. «Abbiamo la serena speranza che dalla Chiesa possa giungere una "gratificazione" nei confronti del sindaco "santo" per il servizio reso all'Italia e al mondo con la sua saggezza evangelica e la sua intelligenza». È il desiderio nobile che il mistico prestato alla politica possa diventare beato. Venerabile lo è già dal 2018.
«Ma il cattolicesimo italiano e fiorentino non hanno accolto la sua eredità», fa sapere lo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio che ha curato i volumi degli epistolari di La Pira con i Papi. Finché non è arrivato il cardinale Gualtiero Bassetti, dice Riccardi. Al presidente della Cei va il merito di «aver reintrodotto la sua figura nella Chiesa italiana» che l'aveva dimenticata. «E questo convegno suggella la transizione in atto», aggiunge.
L'evento cui si riferisce l'ex ministro è il simposio "Giorgio La Pira: un ponte di speranza" organizzato nel capoluogo umbro dall'arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve, dall'Università degli Studi di Perugia e dall'Università per stranieri di Perugia. Un incontro che diventa anche l'ultimo grande appuntamento di Bassetti da vescovo titolare visto che, al termine, annuncia di aver «rimesso nelle mani del Papa» le sue dimissioni dal governo pastorale e che da venerdì prossimo sarà emerito. Un congedo guardando al "professore" di cui nelle conclusioni cita una frase sull'apocalisse atomica: "O finisce tutto, o comincia tutto". «Parole straordinariamente attuali di fronte alla guerra in Ucraina, che però hanno un valore esistenziale 
più profondo». E, quasi riferendosi a se stesso, il presidente della Cei aggiunge: «Anche i nostri compiti, le nostre missioni, le nostre attività hanno una fine. Tutto finisce ma in un certo senso tutto inizia nuovamente».
Un salto di vita per il cardinale accompagnato da La Pira che la Chiesa ha lasciato ai margini perché, avverte Riccardi, «neotridentina», ossia «clericale», e non disposta ad avere «laici pensanti», come il sindaco di Firenze che era persuaso della necessità di «dialogare anche con i briganti», ad esempio con Krusciov e Mao Tse-tung.
Occorre «frequentare i nemici», sottolinea il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, accennando al conflitto in corso. E serve ribadire che «anche nel tempo dell'antagonismo c'è spazio per l'incontro», nota Adriano Roccucci, professore all'Università Roma Tre.
Ricorda lo storico della Chiesa, Marco Giovannoni: «Per La Pira la sola logica ammissibile era quella della non-violenza. E una guerra vinta con le armi comporta sempre distruzione». Guai, però, a vedere dietro l'ex padre costituente un «pacifismo utopico»: il suo era invece un approccio segnato dalla «concretezza», chiarisce Massimo De Giuseppe, dell'Università Iulm di Milano. E la «pax christiana» teorizzata dal politico d'origine siciliana va fondata su «fraternità 
e cooperazione», evidenzia Michele Marchi dell'Università di Bologna.
Un primato, quello dell'attenzione ai "lontani", che La Pira ha declinato nell'apertura verso l'Est e il Sud del mondo, sostiene Agostino Giovagnoli, docente all'Università Cattolica di Milano, convinto che «la storia vada verso Oriente». O che ha tradotto nel «dialogo con il mondo islamico» diventando un «antesignano di quel percorso interreligioso» lanciato dal Concilio, osserva Gian Maria Piccinelli dell'Università della Campania. Profetici i suoi «Colloqui mediterranei dove aveva messo al bando il vocabolo "nemico"», afferma Bruna Bagnato dell'Università di Firenze.
Nella Sala dei Notari che ospita il convegno ci sono anche gli studenti dei due atenei. «La Pira ha avuto la capacità di guardare oltre il contingente - dice il rettore dell'Università di Perugia, Maurizio Oliviero -: così è arrivato dove la politica non giunge. E se lui ha avuto come punti di riferimento la persona e i diritti fondamentali, l'università è chiamata a curare il pensiero alto e a portarlo nelle aule».

 

 


[ Giacomo Gambassi ]