Paladino della pace

In un libro la testimonianza del cardinale centrafricano Dieudonné Nzapalainga

«In queste pagine l'autore mostra come è possibile sognare e lottare a mani nude. Per avere un futuro non bisogna piegarsi alla violenza, quella che i politici del suo Paese hanno utilizzato, né alla corruzione, anche se questa si chiama talvolta con il nome più nobile di business. Nell'autore, divenuto cardinale, permane la fedeltà alla sua ingenuità di bambino di Bangassou, città del sudest della Repubblica centrafricana, che continua a portare con sé»: così scrive Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, nella prefazione al libro di Dieudonné Nzapalainga, La mia lotta per la pace (Città del Vaticano, Libreria editrice vaticana, 2022, pagine i6o, euro 15), scritto con la giornalista Laurence Desjoyaux, dove si ripercorrono la vita e la testimonianza evangelica del più giovane cardinale vivente.
La storia di un ragazzo povero che risponde alla chiamata di Dio e diventa sacerdote, per poi essere investito di responsabilità sempre maggiori all'interno della congregazione degli spiritani. Fino ad assumere la guida dell'arcidiocesi di Bangui, capitale di un paese da decenni in preda a conflitti armati, dimostrando, insieme ad un pastore e un imam, che la fraternità universale non è un mero concetto astratto.
Nella storia di Nzapalainga — sottolinea Riccardi — sin dalla sua giovinezza, «c'è un'attrazione per i più marginali», ovunque lui vada: i pigmei del Camerun, dove opera come missionario all'inizio della sua esperienza pastorale, i ragazzi abbandonati o usciti di prigione in Francia, dove vive all'inizio degli anni 2000. Non è un uomo che guarda le cose dall'alto o dal pulpito della chiesa.
In una pagina particolarmente significativa, il porporato testimonia come il servizio ai poveri sia essenziale nella formazione dei futuri religiosi, che non devono limitarsi alla preparazione teorica. Nzapalainga rileva infatti che «spesso noi restiamo troppo formali, mentre Dio si rivela anche nell'informale». «Lasciamo i libri di teologia — esorta l'arcivescovo di Bangui — andiamo verso la teologia pratica ed esistenziale, ascoltiamo gli interrogativi dei nostri contemporanei, prendiamo parte ai dibattiti che scuotono la società. Sennò, chi verrà ancora a bussare alla nostra porta?»
La storia del cardinale è una vicenda non sempre semplice, sottolinea il fondatore di Sant'Egidio, «non tanto per il suo carattere, che è positivo e abituato ad affrontare le difficoltà, ma per le vicende che incontra proprio nella Chiesa centrafricana». Una Chiesa segnata da profonde divisioni quando nel 2009 viene nominato amministratore apostolico di Bangui, diocesi di cui prende le redini come arcivescovo nel 2012. «A modo mio e in un contesto così difficile — racconta Nzapalainga a questo proposito — ho cercato di farmi prossimo di coloro dei quali avevo la responsabilità, di non rimanere distante. Seduto alla mia scrivania non avrei compreso le sofferenze né colto la realtà».
Il problema maggiore con cui il cardinale si confronta nella sua vita centrafricana, quindi, è la divisione, di tutti i tipi: tra cattolici, tra preti, tra diocesani e missionari, tra gruppi religiosi, tra fazioni politiche, tra etnie. Nzapalainga sa che per fare unità bisogna incontrare, dare fiducia, dialogare, pazientare, ma anche rischiare sé stessi fino alla propria vita.
Nel 2012, mentre comincia la seconda guerra civile centrafricana, Nzapalainga, insieme al pastore evangelico Nicolas Guerekoyame-Gbangou e l'imam Omar Kobine Layama, decide di creare la Piattaforma interreligiosa per la pace del Centrafrica. Lo spirito del "vivere insieme", Nzapalainga l'ha respirato sin dall'infanzia nella sua famiglia interconfessionale. Tramite la Piattaforma, spiega il cardinale, «ci siamo posti a baluardo contro la follia distruttrice che sentivamo irrompere». I tre uomini percorrono il paese per scongiurare la gente a non vendicarsi, per difendere gli inermi dai violenti e bandire la guerra. Invitando tutti, con la parola e l'esempio, a non tirare in ballo la religione per giustificare la malvagità dell'odio.
«Ancora oggi — confida il porporato — molti responsabili politici, di associazioni, o anche semplici cittadini che incontro mi dicono che l'azione della Piattaforma ha evitato un genocidio». «Le nostre parole — aggiunge — erano tanto più forti in quanto non puntavamo a impadronirci del potere ma unicamente a difendere i deboli, gli abbandonati, i disgraziati che gridavano la loro disperazione».
Più volte minacciato di morte, rimasto al proprio posto quando avrebbe potuto fuggire, Nzapalainga è trascinato da una forza interiore: «non c'è particolare eroismo nelle mie azioni. Sentivo la mano del Signore. Si sparavano gli uni gli altri. Quando uscivo per andare da qualche parte, mi dicevo: vado in missione. Vado a Gerusalemme, bisogna che sia pronto a tutto». «Credo che se il Signore mi tiene ancora in vita a dispetto della mia fragilità, è per il suo servizio — ritiene Nzapalainga — perché porti avanti la mia missione».
Il 19 novembre 2016, un anno dopo avere accolto Papa Francesco nella sua diocesi per l'apertura della prima Porta Santa dell'Anno della Misericordia, arriva la notizia della creazione a cardinale, «una sorpresa totale» ma anche «una nuova svolta» nella vita di Nzapalainga, nonché un motivo di grande fierezza per la Chiesa cattolica centrafricana. Quel giorno «la gioia dei miei concittadini ha messo in evidenza il ruolo dell'episcopato nel nostro paese — commenta il porporato — che non esita a prendere posizione sui temi scottanti della società». La Chiesa trae questa autorevolezza dalla sua presenza costante presso i più svantaggiati. Nel caos della guerra, e anche tuttora, in molti luoghi il vescovo rimane la sola figura istituzionale presente.
In conclusione del suo libro, che mette la speranza al primo posto, il cardinale Nzapalainga si dice consapevole che «nel nostro mondo spesso regnano le tenebre e a volte ci sembra che si faccia sera». «Per non sprofondare nella tristezza — sottolinea — i nostri contemporanei hanno bisogno di segnali, come i fari che orientano le navi indicando loro la terraferma. Come arcivescovo e cardinale, credo che sia questa la missione affidatami da Dio
».


[ Charles de Pechpeyrou ]