Quella lettera di Wojtyla sull'amico seminarista ucciso dai nazisti

Quella lettera di Wojtyla sull'amico seminarista ucciso dai nazisti

Veglia di preghiera presieduta dall'arcivescovo Pawlowski nella basilica romana di San Bartolomeo all'Isola

“Sono sinceramente commosso dalla lettera della madre e del fratello del compianto Szczęsny, il mio amico più caro durante gli studi teologici clandestini. Lavoravo allora come operaio alla Solvay e mi incontravo spesso con Szczęsny, il più delle volte in chiesa e dal compianto Jan Tyranowski, che di entrambi è stato la guida spirituale. In quegli anni la terribile crudeltà dell’occupante ha portato via Szczęsny a tutti noi. Oggi, quando Nostro Signore mi ha permesso di giungere alla pienezza del sacerdozio qui sulla terra, non posso non ricordare il mio fratello più caro, la cui strada verso il sacerdozio venne interrotta proprio all’inizio”.
Così scriveva Karol Wojtyła alla madre e al fratello di Szczęsny Zachuta, fucilato dalla Gestapo durante l’occupazione nazista. La lettera autografa è la risposta di Wojtyła agli auguri ricevuti in occasione della sua nomina a vescovo ausiliare di Cracovia nel 1958 ed è stata donata, mercoledì 15 giugno, dai nipoti di Szczęsny alla basilica di San Bartolomeo all’Isola. Andrzej e Antoni Stefański hanno infatti chiesto che questo caro ricordo di famiglia venisse custodito “in un luogo speciale, dedicato alla memoria dei martiri del XX secolo dal suo amico Giovanni Paolo II, che così diverrebbe la tomba simbolica di Szczęsny, di cui non si conosce nemmeno il luogo della sepoltura”.
Szczęsny, coetaneo di Wojtyła, era entrato nel 1942 nel seminario clandestino di Cracovia promosso dal cardinale Adam Stefan Sapieha, ma si adoperava anche nel movimento di resistenza, nell’organizzazione scout delle “Schiere Grigie”, e sotto lo pseudonimo di Feliks Mszański aiutava gli ebrei, vittime di persecuzione. Arrestato dai nazisti il 13 aprile 1944, fu imprigionato nel carcere di Montelupi a Cracovia e fucilato. Il suo nome si trova nell’elenco delle persone condannate a morte il 6 giugno 1944.
“È di grande significato per noi, che custodiamo la basilica di San Bartolomeo all’Isola, ricevere una preziosa memoria di san Giovanni Paolo II, che trenta anni fa ce l’affidò e che, in occasione del Giubileo del 2000, volle che divenisse un luogo di memoria ecumenico dei martiri dei nostri tempi”, ha osservato il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, presente alla cerimonia insieme al fondatore Andrea Riccardi.
La veglia di preghiera, animata dai canti della corale della Comunità di Sant’Egidio - che nella basilica di San Bartolomeo all’Isola prega ogni sera - e da musiche eseguite all’organo da Dominik Dubiel sj, è stata presieduta da mons. Jan Romeo Pawłowski, segretario per le rappresentanze pontificie, alla presenza dell’ambasciatore Artur Pollok, rappresentante permanente della Polonia presso la FAO, e Marek Sorgowicki, chargé d’affairs a.i. dell’ambasciata della Polonia presso la Santa Sede. Ricordando nell’omelia la figura di “questo giovane seminarista polacco ucciso dall’odio della guerra”, l’arcivescovo Pawłowski ha affermato: “Szczęsny Zachuta avrà fatto tante cose buone nella sua breve vita, si cibava dell’Eucarestia, servendo come ministrante assieme al giovane Karol Wojtyła, ma per la storia del mondo è passato quasi inosservato”. Riflettendo sul nome “Szczęsny”, che in polacco significa “felice”, ha proseguito: “Certo, se guardiamo alla sua breve vita con i criteri del mondo, è andata male; sono svaniti i suoi progetti, distrutti dall’odio, dal non senso della guerra. Ma guardando con gli occhi della fede, possiamo di sicuro dire che il programma ricevuto nel battesimo con il nome di Szczęsny è stato da lui e in lui realizzato perfettamente, perché con il martirio è diventato davvero felice”.
“La reliquia che unisce Karol e Szczęsny”, per citare ancora mons. Pawłowski, è stata portata dall’altare maggiore della basilica alla cappella dei nuovi martiri del nazismo dal nipote Antoni Stefański, sacerdote della diocesi di Katowice. Sarà esposta alla venerazione dei fedeli che da tanti paesi del mondo si recano qui in pellegrinaggio, accanto alle memorie di uomini e donne - laici, religiose, sacerdoti - che durante il totalitarismo nazista hanno offerto la loro vita per il Vangelo. Tra loro san Massimiliano Kolbe, i beati Franz Jägerstätter e Stanisław Starowieyski, il pastore Paul Schneider, suor Maria Restituta Kafka. In questa cappella è venerata anche un’icona raffigurante padre Omeljan Kovč, prete greco-cattolico ucraino, martire a Majdanek. Da questo luogo di annientamento scriveva: “Qui siamo tutti uguali: polacchi, ebrei, ucraini, russi, lituani, estoni. Qui vedo Dio, che è uno per tutti. Forse le nostre chiese sono differenti, ma lo stesso Grande e Onnipotente Dio le guida”. L’ecumenismo dei martiri è quello più convincente, ripeteva Giovanni Paolo II, che si considerava un sopravvissuto “del grande e orrendo theatrum della seconda guerra mondiale”. Così scrisse in Dono e mistero, un denso testo autobiografico pubblicato in occasione del suo 50° anniversario di sacerdozio. In questo libro redatto con la collaborazione di Gian Franco Svidercoschi - anch’egli presente mercoledì a San Bartolomeo all’Isola - Giovanni Paolo II non mancò di ricordare Szczęsny, “questo fratello nella vocazione sacerdotale che in altro modo Cristo aveva unito al mistero della sua morte e della sua resurrezione”.
Riflettendo sulla grandezza del suo precessore, Benedetto XVI ha affermato: “Giovanni Paolo II era familiare alla sofferenza, non solo personale ma del suo popolo e di tanti altri, uomini e popoli. L’ho visto sofferente, ma mai triste. Egli, fin dall’inizio del suo pontificato, parlava di un nuovo Avvento. Sperava che, nella storia, si affermasse un tempo di gioia del cristianesimo”. È significativo che sia stata sottratta all’oblio la vicenda tutt’altro che marginale di Szczęsny, o per meglio dire “Felice”, e della sua amicizia con Karol. Essa traccia la via di un cristianesimo che non si lascia piegare dalla sofferenza o intristire dalle difficoltà, ma che scopre nella fedeltà al Vangelo la forza per resistere al male. La via di un cristianesimo felice anche per i nostri tempi bui, segnati da odio e violenza.
 


[ Massimiliano Signifredi ]