"Ci svegliamo solo con gli sbarchi d'estate. Ora la sfida è regolarizzare gli invisibili"

"Ci svegliamo solo con gli sbarchi d'estate. Ora la sfida è regolarizzare gli invisibili"

Andrea Riccardi
Il fondatore di Sant'Egidio: "Siamo un Paese impreparato, sbloccare i flussi può dare una mano importante all'economia"

Serve una «politica di lungo periodo» che si occupi di «regolarizzare gli invisibili». Al telefono da una missione in Mozambico, il fondatore della Comunità di Sant'Egidio Andrea Riccardi, dieci anni fa ministro per l'Integrazione del governo Monti, ragiona di migrazione e della sua gestione, un argomento di cui si occupa da una vita. «Bisogna aprire i flussi», predica, ricordando che deve essere «un processo continuo» e non invece, come spesso succede, una soluzione che si individua in extremis solo quando la richiesta di lavoratori si fa impellente.
Andrea Riccardi, sono ripresi gli sbarchi e i naufragi. Siamo di fronte a una nuova emergenza?
«Siamo di fronte a un processo che non si è mai fermato. C'è un'emergenza attuale che riguarda molte aree in difficoltà. Penso ai siriani nel Libano che sta andando a pezzi, penso alla gente nei lager libici. Io stesso ho parlato con le persone che sono dentro i lager, mi hanno raccontato storie raccapriccianti. Penso alla gente del Corno d'Africa e a chi arriva dall'Afghanistan, su cui piangevamo poco tempo fa e che ora abbiamo dimenticato. Ci sono emergenze su cui è necessario agire».
L'emigrazione però non sembra affatto una priorità per il governo.
«Ci vuole una politica di lungo periodo, bisogna regolarizzare gli invisibili. E' un processo che è iniziato».
E che non ha prodotto molti risultati.
«Si tratta di un processo ancora in corso. Ci sono lentezze burocratiche inspiegabili. Non bisogna porre paletti, bisogna che sia un processo scorrevole, non faticoso come accade adesso».
Con la crisi alimentare e la crisi climatica l'emigrazione corre il rischio di aumentare?
«Siamo sempre in emergenza. Ormai è un'emergenza di lungo periodo. Il nostro panorama demografico non lascia spazio a dubbi. Non tra cinquant'anni, ma solo tra quindici anni intere regioni saranno spopolate. Però noi ci svegliamo in estate e pensiamo all'emergenza sbarchi. Se vediamo a quello che sta accadendo in questo momento, ci rendiamo conto che queste crisi stanno già provocando grandi ondate migratorie: ma non sono dirette verso l'Europa, sono dentro l'Africa. Ho visitato un campo in Malawi dove c'erano persone che fuggivano da altri Paesi dell'Africa per la crisi ambientale, per la mancanza di sicurezza, per le guerre, per la guerriglia. A questo si aggiungerà il fattore alimentare, con la crisi del grano e le difficoltà economiche create dall'aumento del costo della benzina. E' un fenomeno molto ampio. In Libano, pur di lasciare il Paese, in tanti dicono di essere siriani. Il problema non sono solo i barconi, non ci troviamo di fronte a un problema stagionale, ma a un fenomeno di più lungo periodo».
Che fare?
«Bisogna aprire i flussi, e questo deve essere un processo continuo, non deve mai interrompersi, per rispondere alle esigenze degli operatori che chiedono lavoratori».
Da tempo la parola flussi non è all'ordine del giorno dei governi.
«Non si parla di flussi perché si parla di emergenza e si trascura di dare all'economia il sostegno di cui ha bisogno. In Italia non ci sono flussi, a parte i corridoi umanitari organizzati dalla Comunità di Sant'Egidio, dalla Caritas, dalle chiese evangeliche, dalla Tavola Valdese. Nella ricerca dei lavoratori che servono alla nostra economia si privilegiano l'illegalità e il rischio della vita». 


[ Flavia Amabile ]