Se una vita vale meno della nostra

Il mix di predicazione d'odio e scomparsa della solidarietà, dice Andrea Riccardi, produce una società che brucia il suo futuro

Gentile Senatrice Segre, sono una cittadina marchigiana sconvolta da quanto successo a Civitanova. Mi piacerebbe sapere che cosa pensa lei che il male lo ha sperimentato sulla sua pelle e che si è così tanto spesa contro l'indifferenza e la violenza. G. B.
Cara lettrice, come forse saprà sono anche io un po' marchigiana e molto legata a questa terra. Mio marito Alfredo e tutta la sua famiglia venivano dalle Marche, così come i miei nonni materni. E proprio in questo periodo, come ogni anno, mi trovo a Pesaro. In questa regione la bonomia della gente si sposa con la dolcezza del territorio. Basti pensare alle colline, ai quadri di Raffaello o ai borghi antichi dove sembra che il tempo si sia fermato. Anche per questo mi ha profondamente colpito l'assassinio di Alika Ogorchukwu, avvenuto il 29 luglio a Civitanova Marche.
Un uomo arrivato dalla Nigeria, nero, povero e invalido, che chiedeva l'elemosina, è stato ammazzato con ferocia da un italiano. Quest'ultimo l'ha addirittura colpito usando la stampella con cui si sorreggeva, poi ha proseguito a mani nude. Perché? Probabilmente non lo sapremo mai. Nel 2018 Luca Traini a Macerata - meno di 30 chilometri da Civitanova - seminò il terrore e sparò ferendo sei immigrati. In quel caso fu accertata la matrice razzista Questa volta invece l'omicida Filippo Ferlazzo, di origini campane, nella cittadina marchigiana da circa un anno, pare che non sia stato mosso da questa motivazione e che soffra di disturbi psichici.
Tuttavia è difficile pensare che quella violenza spropositata si sarebbe ugualmente scatenata se la nostra società non percepisse l'immigrato, specie se non bianco, come qualcuno la cui vita vale meno della nostra. Io che fui discriminata e poi deportata come membro di una presunta razza inferiore, so bene cosa voglia dire e come facilmente si possa passare dalla propaganda ai fatti.
Proprio pochi giorni prima di questo brutale omicidio, il premier ungherese Viktor Orbán aveva sostenuto che la «mescolanza di razze» generata dalla «migrazione di massa» è una minaccia e di volere «lottare contro un simile destino». Dichiarazioni che sembrano fuori da ogni senno ma il razzismo, per quanto talora in modo inconscio, eppure ugualmente pericoloso, è molto più diffuso di quanto si pensi pure tra noi italiani.
 In molti sono rimasti colpiti dal fatto che durante il bestiale pestaggio a Civitanova, durato quattro lunghi minuti, i passanti non siano intervenuti per fermare la violenza e che ci sia stato chi ha estratto il cellulare per filmarla. I presenti avranno avuto paura? Saranno stati indifferenti? Oppure saranno rimasti attoniti e avranno fatto quanto riuscivano chiamando ad esempio la Polizia? È sempre difficile giudicare da lontano e alcune testimonianze farebbero propendere per quest'ultima ipotesi. Sta di fatto che quel giorno non è comparso sulla scena quello che viene definito un Giusto, una figura esemplare che, anche a rischio di un pericolo personale, abbia tentato di salvare un essere umano che moriva senza un perché.
Alika aveva un figlio di 8 anni e una moglie, Charity Oriakhi. Con grande dignità quest'ultima ha chiesto: «Italia non lasciarmi sola. Tutto quello che voglio è giustizia. Giustizia per mio marito». Per sabato 6 agosto a Civitanova è stata indetta una manifestazione del neonato «Comitato 29 luglio», sorto per condannare la violenza e il razzismo e promuovere la convivenza civile. Tra le idee, la richiesta di offrire un lavoro stabile alla vedova di Alika.
La barbara uccisione del marito non riguarda solo lei, i suoi familiari e i connazionali, ma ci interroga tutti. Come ha detto in un'intervista a La Stampa Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, «il mix di predicazione d'odio e scomparsa della solidarietà produce una società che brucia il suo futuro». 


[ Liliana Segre ]