L'urlo per Alika: ora il silenzio non lo uccida un'altra volta

La Comunità di Sant'Egidio: «Ci vuole solidarietà ma servirà tempo perché la ferita provocata da questo atto barbaro si rimargini»

E' stato un lungo, struggente addio. Ma oltre al dolore e alla commozione, nella comunità nigeriana si percepiva un timore diffuso: che il silenzio uccida una seconda volta Alika Ogorchukwu, l'ambulante 39enne pestato a morte il 29 luglio scorso in pieno centro a Civitanova nell'indifferenza dei passanti. Adesso la legge deve fare il suo corso, è stato l'urlo, sopito dalla compostezza. E che il germe del razzismo non fiorisca più.
I funerali di Alika si sono svolti ieri pomeriggio nel chiostro della chiesa di San Domenico, a San Severino Marche, il borgo dell'entroterra maceratese dove la vittima risiedeva con la famiglia: più di cento persone erano stipate tra le colonne del complesso monumentale, uno dei simboli della città. A distanza di due mesi dall'assurdo delitto, consumato a mani nude da un operaio di 32 anni, Filippo Ferlazzo da Salerno, indispettito per l'insistenza dell'africano nel chiedere l'elemosina alla sua fidanzata, ancora non ci si capacita di quanto accaduto: la tragedia si poteva evitare se qualcuno avesse fermato quello spietato e insulso accanimento sul corpo, già menomato, del povero Alika, colpito anche con la stampella che lo sorreggeva. E chissà se adesso sarà fatta giustizia con una «esemplare condanna» dell'assassino.
Resta da vedere cosa diranno le perizie psichiatriche sulla sua capacità di intendere e di volere al momento del fatto. Durante la cerimonia, durata più di un'ora e mezza e celebrata nel rito evangelico pentecostale, Charity Oriakhi, vedova fragile e coraggiosa, non ha mai smesso di piagere: con una mano sulle ginocchia stringeva forte un fazzoletto, con l'altra si copriva il viso, quasi a cercare un po' di intimità con se stessa. E il figlio Emanuel di 8 anni, smarrito e immobile sulla sedia, non ha mai distolto lo sguardo da quella bara di legno chiaro a un metro da sè. E poi la rabbia composta dei fratelli venuti dalla Nigeria in Italia: «Non ci separerà la morte da lui, uomo tranquillo e amato da tutti, ma chiediamo giustizia».
C'erano anche uomini e donne "bianchi" in quell'abbraccio commosso, mischiati ai rappresentanti della comunità nigeriana, in fondo alla sala addobbata con tulle e palloncini colorati: un segno e una promessa: Charity e il figlioletto, che frequenta le elementari a San Severino, non saranno lasciati soli.
«Un grande marito e un grande padre, un uomo con il timore di Dio e un futuro davanti» è stato il messaggio, letto da un amico, che la vedova ha voluto lasciare ai presenti. L'avvocato della famiglia, Francesco Mantella, ha ringraziato il console italiano in Nigeria, Ugo Boni, per i permessi di espatrio concessi ai familiari di Alika, una procedura lunga e complessa che ha obbligato a rimandareí funerali fino a questa data.
E' intervenuto anche un esponente nigeriano della Comunità di Sant'Egidio: «l'uccisione di Alika è stato un atto barbaro e senza pietà, ora c'è bisogno di essere solidali ma servirà tempo perché questa ferita possa rimarginarsi».
Di Amore ed Eternità, tra musiche, canti e testimonianze, ha invece parlato il pastore Joseph Okwukwe che ha officiato la funzione religiosa. All'uscita della bara dal chiostro un momento di subbuglio tra i parenti del defunto: qualcuno voleva baciarlo per l'ultima volta, «ma non si può perché il feretro è sigillato
». Poi il mesto corteo a piedi verso il cimitero comunale di San Michele, dove quell'uomo buono dalla pelle nera, che qui in città tutti conoscevano e apprezzavano per la sua mitezza, riposerà per sempre. 


[ Fulvio Fulvi ]