Dobbiamo far concorrere a tutti ai processi di pace

Intervista con il cardinale Matteo Zuppi a trent'anni dagli accordi in Mozambico

Trent'anni fa, il 4 ottobre 1992, venivano firmati gli accordi di pace che misero fine a 17 anni di guerra civile in Mozambico tra FreLiMo e ReNaMo; un conflitto che aveva prodotto centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi. La pace fu raggiunta grazie alla volenterosa opera di mediazione svolta da Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, dal vescovo mozambicano Jaime Gonçalves, dall'allora sottosegretario italiano Mario Raffaelli, e dal cardinale Matteo Maria Zuppi, oggi arcivescovo di Bologna e presidente della Cei. E proprio con il cardinale Zuppi abbiamo ripercorso quella stagione alla luce delle vicende internazionali attuali.
Cosa possiamo imparare per l'oggi da quegli accordi?
Ci insegnano innanzitutto che dobbiamo far concorrere tutti ai processi di pace. Quella fu, se volete, una mediazione "debole" se comparata alle grandi istituzioni internazionali, alle potenze regionali e internazionali, agli Usa, al Portogallo. Ma questa fu anche la sua forza, perché portava tutte le parti in causa a sedere allo stesso tavolo, senza privilegi e senza pregiudizi. Vede, nei conflitti interagiscono sempre molteplici interessi, anche delle parti non direttamente belligeranti, e questo spesso rende più difficile trovare mediazioni autorevoli e veramente neutrali. E con esse anche delle direzioni di marcia univoche e concordi. Perché dobbiamo essere consapevoli che in fondo la pace può spesso mettere in crisi molti interessi trasversali e perversi. In epoca di globalizzazione questa trasversalità di interessi è ancora più ingombrante.
In fondo il tragico impasse a negoziati di pace nel conflitto in Ucraina sconta, tra gli altri, anche questo limite.
Nel frattempo anche il Mozambico sembra essere di nuovo precipitato nella spirale della violenza
Questa penetrazione del radicalismo violento di matrice islamista in alcune zone del paese è seriamente preoccupante. E ancora viva ai nostri occhi la commozione per l'uccisione il mese scorso di suor Maria De Coppi. Rispetto alle vicende di 30 anni fa, oggi la situazione è resa più complicata dalla evanescenza degli interlocutori. Allora conoscevamo con chi sederci e parlare. Oggi non sappiamo chi si nasconde dietro queste sigle, e ancor più chi le finanzia, e quali interessi anche stranieri si celano dietro le loro azioni violente. La sola cosa che ora vediamo con certezza è lo strascico di morti e di sofferenza che generano.
Certo però è che il nostro sguardo sulle vicende del Mozambico non si è mai spento, e qualsiasi spiraglio possa auspicabilmente aprirsi per restituire a questo paese una pace effettiva e duratura ci vedrà attenti e pronti.


[ Roberto Cetera ]