Il tempo dei "mediatori"

Da Benedetto XV a Francesco, oltre un secolo di "magistero di pace" dei Papi

In un mondo che assiste con rassegnazione all'aggravarsi della guerra in Ucraina, è risuonato l'appello di Papa Francesco domenica 2 ottobre prima della recita dell'Angelus. Come nel 2013 per la Siria, il Papa ha scelto di non commentare il Vangelo del giorno per dedicare l'intera riflessione alla guerra, deplorando che «questa terribile e inconcepibile ferita dell'umanità anziché rimarginarsi, continua a sanguinare sempre di più». Nel momento in cui «l'umanità si trova nuovamente davanti alla minaccia atomica», ha chiesto a Putin, Zelensky e ai «responsabili politici delle Nazioni di fare tutto quello che è nelle loro possibilità per porre fine alla guerra in corso».
Francesco si muove in continuità con i Papi del Novecento, secolo in cui la Chiesa ha preso sempre più le distanze da qualsiasi giustificazione della guerra e ha assunto un ministero di pace a livello globale. Il vescovo di Roma, ha scritto Andrea Riccardi, «è alla testa di un'internazionale — la Chiesa cattolica — diffusa in tanti Paesi, che sente la guerra come una propria lacerazione intima e un grande errore storico». E' importante allora ripercorrere il magistero di pace dei Papi nelle pieghe più buie e sanguinose del secolo scorso.
Benedetto XV, nella lettera ai capi dei popoli belligeranti del i° agosto 1917, definì la guerra «inutile strage», smentendo le argomentazioni sul suo carattere "giusto" a dispetto delle passioni nazionaliste e belliciste di tanti. Sempre a Benedetto XV si deve la prima enciclica dedicata alla pace, Pacem, Dei munus pulcherrimum, in cui invocò la necessità della concordia tra i popoli, con il monito inascoltato: «L'umanità andrebbe incontro ai più gravi disastri se, pur conclusa la pace, continuassero tra i popoli latenti ostilità e avversioni».
Come inascoltato fu l'appello di Pio XII del 24 agosto 1939: «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra». Papa Pacelli, promotore di un'intensa azione umanitaria in favore dei deportati nei lager grazie alla "Commissione Soccorsi" guidata dall'allora sostituto della Segreteria di Stato Montini, ebbe chiara coscienza dell'orrore della guerra, al punto da affermare nel Radiomessaggio del Natale 1944 l'opportunità di «bandire una volta per sempre la guerra di aggressione come soluzione legittima alle controversie internazionali e come strumento di aspirazioni nazionali».
In quegli stessi anni Angelo Giuseppe Roncalli rifletteva sulle parole del Salmo 50, «Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza», e annotava sul Giornale dell'anima: «Il mondo è intossicato di nazionalismo malsano sulla base di razza e sangue, in contraddizione al Vangelo». Da Papa, Giovanni XXIII fu protagonista di una tempestiva mediazione tra Stati Uniti e Unione Sovietica nella crisi dei missili a Cuba, che stava trascinando il mondo nell'abisso del conflitto atomico. Il 25 ottobre 1962, la Radio Vaticana diffuse il messaggio — precedentemente reso noto alle cancellerie Usa e Urss — in cui il Papa dava voce al «grido angosciato che da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti ai vecchi, sale verso il cielo: pace! pace!» e invitava a «promuovere, favorire, accettare dei colloqui, a tutti i livelli e in ogni tempo».
Il successo di questa iniziativa ispirò a Papa Roncalli l'enciclica Pacem in terris, una riflessione tesa a escludere qualsiasi ipotesi di "guerra giusta" e ad invitare l'umanità intera a lavorare per la «desideratissima pace». Questa eredità di Papa Roncalli venne assunta da Paolo VI, che istituì la Giornata mondiale della pace, celebrata per la prima volta il 1° gennaio 1968, e fu anche il primo Pontefice a prendere la parola all'Onu. Dalla tribuna del Palazzo di Vetro, il 4 ottobre 1965 — giorno di san Francesco — risuonò il grido di Papa Montini «Jamais plus la guerre!»: non tanto uno slogan, quanto l'enunciazione di un principio politico volto a «cambiare la storia futura del. mondo».
Quel grido venne ripreso da Giovanni Paolo II nel 2003, con un filo di voce, per scongiurare la seconda guerra del Golfo: «Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la seconda guerra mondiale ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest'esperienza: Mai più la guerra!». Nel suo lungo pontificato Papa Wojtyla ha lavorato per le transizioni non violente, a cominciare dalla sua Polonia, e ha creduto nella forza di pace delle religioni. «La pace è un cantiere aperto a tutti, non solo agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale», disse ad Assisi nella storica preghiera per la pace con i leader delle grandi religioni mondiali.
Le parole di Papa Francesco sulla guerra in Ucraina vengono da un uomo che sta soffrendo, come ha detto domenica scorsa, per «le migliaia di vittime, in particolare tra i bambini, e le tante distruzioni, che hanno lasciato senza casa molte persone e famiglie». Ed è consapevole che la ricerca della pace passa per la "porta stretta" del dialogo, mentre la "via larga" dello scontro armato apre a «conseguenze incontrollabili e catastrofiche a livello mondiale». Si espone personalmente senza timore di apparire impopolare o essere «frainteso», come si legge nella conversazione con i gesuiti in Kazakhstan recentemente pubblicata, in cui tra l'altro ha rivelato un suo intervento presso l'ambasciatore russo per favorire uno scambio di prigionieri.
Nel 2008, parlando alla Comunità di Sant'Egidio a Buenos Aires, il cardinale Bergoglio si soffermò sulla «laboriosità artigianale» della costruzione della pace, richiamando la figura di Casaroli. Con una sottile distinzione linguistica, affermò che «il mediatore è colui che, per unire le parti, paga con il suo stipendio, paga con il suo, si consuma lui stesso», mentre «l'intermediario è quel dettagliante, che fa sconti ad ambedue le parti per avere il suo meritato guadagno». Questa la sua conclusione: «La legge del cristiano è la stessa del mediatore. Per un cristiano, progredire non è scalare posti, avere una buona reputazione, per un cristiano progredire è "abbassarsi" in questo compito di essere mediatore. Abbassarsi... Come è stata la condizione di abbassamento e di umiliazione (facendosi nulla) che ha vissuto Gesù». 


[ Massimiliano Signifredi ]