«La vostra casa è diventata la nostra»

Corridoi umanitari
Impagliazzo (Sant'Egidio): il nostro Paese sa essere accogliente, è stata rispettata una promessa. Giuffrida (Fcei): l'Europa ascolti il nostro grido, è possibile costruire un futuro insieme

Malik, con i suoi 66 anni, mentre attraversava il confine con il Pakistan alle volte non ce la faceva a camminare. Così Ahmid, 17 anni, lo prendeva sotto braccio e lo sorreggeva passo dopo passo. I due non si conoscevano prima, se non per il fatto di essere entrambi membri di due famiglie afghane già arrivate nel nostro Paese a luglio. Così si sono cercati e trovati nella via che li conduceva a Islamabad e per molto tempo, in attesa dei documenti per poter venire nel nostro Paese, sono diventati l'uno la famiglia dell'altro. Ora, dice Ahmid, «Malik è e resterà la mia famiglia, è come se fosse mio nonno». Lo si vede dalla premura con cui gli ricorda di prendere le medicine o lo aiuta a muoversi quando le sue gambe fanno i capricci. Ma, all'aeroporto di Fiumicino, è l'abbraccio tra Ahmid e la sua mamma, che non vede da mesi, a far stringere il cuore a tutti.
Ahmid e Malik sono arrivati ieri mattina nello scalo romano con un volo proveniente da Islamabad, insieme ad altri 150 profughi afghani grazie ai corridoi umanitari promossi da Conferenza episcopale italiana (attraverso Caritas italiana), Comunità di Sant'Egidio, Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, Tavola valdese, Arci, Iom (Organizzazione internazionale per le migrazioni), Inmp (Istituto nazionale salute, migrazioni e povertà) e Acnur, d'intesa con i ministeri dell'Interno e degli Esteri.
Entrano nel grande salone del Terminal 5 di Fiumicino tenendo tra le mani palloncini colorati. I più piccoli, una cinquantina, stringono il cartellone colorato che racconta dei corridoi umanitari e della rete di associazioni che li promuove e gridano "Viva l'Italià": L'accento con cui pronunciano il nostro Paese fa simpatia, ma niente tentennamenti invece quando gli si chiede la contentezza che provano oggi, chiaramente stampata sul volto di tutti. «Da adesso cambiamo vita», dicono, ora «la vostra casa diventa la nostra casa. Grazie!».
Tra loro ci sono tante famiglie, sportivi della nazionale afghana, magistrati, attivisti, medici. Tutti profili che hanno lavorato in questi anni per l'emancipazione delle donne e per un sistema democratico che adesso non hanno la possibilità di vivere nel Paese. «Il corridoio è ciò che unisce le stanze, è ciò che permette alle persone di incontrarsi - esordisce il segretario della Cei e arcivescovo di Cagliari monsignor Giuseppe Baturi accogliendo i profughi - . Siamo umani affidati gli uni agli altri, guardiamoci in faccia e prendiamoci cura gli uni degli altri». Poi ha salutato con un "benvenuti" i nuovi arrivati, aggiungendo che «questo corridoio che mette insieme tante realtà, dimostra che siamo tutti coinvolti quando un uomo soffre e spera. E soprattutto che è possibile trovare vie di accoglienza legali e in sicurezza».
I cittadini afghani, rifugiati in Pakistan, verranno ora accolti in diverse regioni di tutta Italia, da Nord a Sud, e avviati subito verso l'integrazione, a partire dall'apprendimento della lingua e dall'inserimento lavorativo grazie a questo progetto totalmente a carico degli organismi proponenti e sostenuto dalla generosità e dall'impegno di tanti cittadini italiani che hanno offerto le loro case per ospitare, ma anche comunità religiose e Ong.
«L'Italia oggi fa festa con noi per il vostro arrivo. È un'Italia accogliente - sottolinea il responsabile della Comunità di Sant'Egidio Marco Impagliazzo - che ha preparato per voi una strada perché qui possiate studiare, lavorare e avere una casa. Quando i talebani hanno chiuso le frontiere vi abbiamo promesso che non vi avremmo abbandonato. Adesso questa promessa è stata mantenuta».
Oggi, infatti, aggiunge Libero Giuffrida membro del Consiglio della Fcei, è l'ennesima dimostrazione che «è possibile costruire un futuro insieme, emozionarsi insieme. L'Europa ascolti il nostro grido: è possibile accogliere in maniera programmata e coordinata». Il vostro arrivo, conclude il responsabile immigrazione Arci Filippo Miraglia, «dà speranza a quell'Italia che vuole accogliervi e darvi il benvenuto». 


[ Alessia Guerrieri ]