La rinascita dopo l'oblio

La Comunità di Sant'Egidio e il programma di iscrizione allo stato

Un «atto di protezione» nei confronti dei più piccoli e non solo. Così Adriana Gulotta, coordinatrice del programma "Bravo" (Birth registration for all versus oblivion) della Comunità di Sant'Egidio, definisce l'iscrizione allo stato civile dei bambini, in particolare in Africa. E' la curatrice del saggio "Nascere non basta. Bambini invisibili, tratta dei minori e stato civile in Africa".
Dei 125 milioni di bambini che ogni anno nascono nel mondo, un terzo non viene registrato ufficialmente: questo il drammatico dato in primo piano nel testo che, pubblicato l'anno scorso dalle edizioni San Paolo con l'introduzione di Andrea Riccardi, raccoglie il «lavoro delle molte persone della Comunità di Sant'Egidio impegnate a livello mondiale» contro quell'oblio — per riprendere il nome del programma — a cui sarebbero altrimenti destinati tanti minori, ci tiene a precisare la Gulotta.
«Non essere iscritti allo stato civile vuol dire non esistere legalmente, essere "cittadini di serie B", senza documenti, diritti, possibilità di andare a scuola, di lavorare legalmente, di emigrare», essere in sostanza «persone invisibili», afferma. I casi presi in esame riguardano in particolare l'Africa, dove il programma è nato nel 2008 con l'esperienza in Burkina Faso, la cui campagna ha portato ad oggi alla registrazione di oltre 5 milioni di persone. Ma anche l'Asia e l'America Latina. Differenti le ragioni, identici, purtroppo, i pericoli a cui sono esposti i bambini.
In Mozambico, per esempio, le conservatorie e gli uffici di stato civile sono spesso molto lontani dai villaggi, «parliamo di chilometri e chilometri», osserva la curatrice del saggio. In alcuni Paesi asiatici, precisa, non è prevista l'iscrizione ai registri ufficiali di bambini nati da «situazioni irregolari dal punto di vista matrimoniale». Nei campi profughi, Gulotta cita su tutti quelli di Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, la registrazione allo stato civile «non esiste e, tra le persone in fuga dalla guerra, ne troviamo tantissime che non hanno alcun tipo di documento, quindi — afferma — è difficile identificarle e farle accedere ai loro diritti». Anche la gran parte dei migranti in America Latina «fugge senza documenti: quasi 500.000 persone ogni anno cercano di raggiungere gli Stati Uniti e di queste — denuncia Gulotta — 20.000 ogni anno spariscono, senza documenti né protezione»: molti sono bambini.
Qui si apre il capitolo, ancora più tragico, degli «orrendi crimini», riferisce la coordinatrice del programma "Bravo": «la tratta dei minori, gli abusi, da quelli sessuali al circuito della pedopornografia, il traffico degli organi, ma anche i bambini che vengono utilizzati per i lavori più pericolosi», impiegati magari nelle cosiddette miniere informali, non regolari, da cui spesso non tornano più indietro, stroncati da incidenti, crolli, fatica, nel silenzio più assoluto.
C'è un altro punto su cui al contempo Adriana Gulotta, forte della propria esperienza di insegnante, si sofferma: quello dell'educazione. «Nella gran parte dei Paesi africani, i bambini senza documenti riescono a frequentare la scuola fino all'ultimo anno della primaria, intorno ai 9-10 anni, ma poi non possono ricevere il certificato di licenza scolastica»: semplicemente perché non esisto
no. E', questo, uno dei motivi della «mancata scolarizzazione» in tante parti del continente. «Molti ragazzi e soprattutto ragazze vengono lasciati fuori dalla scuola perché non hanno documenti, sono alunni invisibili». Anche per questo la Comunità di Sant'Egidio oggi porta avanti, in collaborazione con gli Stati nazionali, il programma "Bravo" in Malawi, Burkina Faso, Mozambico, Guinea Conakry, secondo tre direttrici. «Nelle maternità e nei centri salute, c'è un nostro operatore che incoraggia le mamme a registrare i propri figli, a compiere un atto di protezione nei loro confronti. Dell'equipe fanno parte anche degli agenti di stato civile, che — aggiunge — sosteniamo con un extra-time», una sorta di «straordinario», per coprire le spese dovute alle lunghe distanze e ai tempi di registrazione.
Si lavora, inoltre, nelle scuole: «Portiamo avanti delle campagne al riguardo, sempre coinvolgendo un agente di stato civile che ín questo caso va ad effettuare una registrazione tardiva, un procedimento più complicato, che implica anche la presenza di testimoni, perché i ragazzi sono più grandi». Non si tralasciano poi le aree rurali, dove sono in corso «campagne itineranti». E non mancano le sorprese, evidenzia la rappresentante della Comunità di Sant'Egidio. «Capiamo che le donne sono molto consapevoli dell'importanza della registrazione allo stato civile: ci chiedono di farlo per i loro figli, perché loro stesse magari non lo sono. E allora registriamo i bambini, le donne e chiunque voglia», seguendo i percorsi istituzionali e non dimenticando che, in tal modo, «le donne si fanno portatrici di un grande messaggio per essere cittadine 
a pieno diritto del loro Paese».

 

[ Giada Aquilino ]