«Camminiamo per urlare al mondo: pace in tutte le terre»

La marcia. Da piazza Duomo a San Francesco del Prato
In processione anche tanti stranieri dei Paesi in guerra. Solmi: «La strada dell'amore, l'unica che ci salverà»

Il vetro protegge le fiammelle dal leggero vento di gennaio. Sono le decine di candeline che illuminano i volti di tutte le tonalità e lineamenti che marciano in nome di un futuro migliore. Nella serata di ieri, infatti, in occasione della Giornata mondiale della pace, si è svolta la «marcia della pace», a cui hanno preso parte numerosi cittadini e religiosi della città. Ad organizzarla, la comunità di Sant'Egidio insieme alla Consulta diocesana pace, giustizia e custodia del creato.
La comunità di Sant'Egidio è nata a Roma nel 1968 e con gli anni ha coinvolto oltre 70 Paesi del mondo e si impegna a dare sostegno a uomini e donne in condizioni economiche o sociali difficili. La marcia è partita nella cornice di piazza Duomo, subito dopo la messa, per arrivare in piazzale San Francesco, di fronte alla chiesa di San Francesco del Prato. «Quella della carità e dell'amore è l'unica strada sulla quale noi possiamo salvarci», ha detto il vescovo Enrico Solmi. Il suo discorso, partendo dal concetto di pace, ripercorre la crisi della pandemia fino alla guerra russo-ucraina. «Per il virus è possibile avere un vaccino che lo limita, ma per la guerra e per la violenza non c'è vaccino» ha sottolineato Solmi, mettendo in luce il doppio potere che può nascere dalla volontà dell'uomo: quello di produrre bene e amore ma anche male e guerra. Ha, infine, fatto riferimento al messaggio che Papa Francesco ha pronunciato per il 1° gennaio, nel quale dice con chiarezza quelli che sono i sette punti da seguire nella via per la pace: garantire la salute a tutti, fare azioni di pace, prendersi cura del mondo con attenzione ai cambiamenti climatici, vincere le diseguaglianze, garantire cibo e lavoro per tutti, sostenere quanti non hanno un salario minimo, avere politiche di integrazione nei confronti di immigrati e rifugiati. «In questo giorno mettiamo la pace al centro del nostro cuore perché non c'è possibilità di pace se prima di tutto non siamo in pace con noi stessi» ha concluso Solmi.
«Dopo la pandemia pensavamo di trovarci in un mondo migliore, invece ci siamo svegliati con l'incubo della guerra» le parole di Bruno Scaltriti, responsabile parmigiano della comunità di Sant'Egidio. Scaltriti ha messo in luce il messaggio di questa iniziativa, ovvero che «chiunque di noi può fare qualcosa mettendosi in marcia per aiutare un paese come l'Ucraina e non solo». Infatti, alla marcia erano presenti tanti cartelli con il nome delle nazioni che attualmente si trovano a vivere in un clima di guerra o di oppressione. Corea del Nord, Iraq, Siria, Ucraina, Nigeria, Camerun, Yemen, Etiopia Burkina Faso e purtroppo tanti altri. «Nel mondo globalizzato nessuno può dirsi al di fuori o escluso da questa memoria» ha concluso Scaltriti.
In marcia tante persone che per la guerra hanno dovuto abbandonare il loro paese. C'era Wadih Marroush, che nel 2018 ha dovuto lasciare Homs, la sua città natale in Siria, per cercare riparo prima in Libano e poi a Parma nel 2022. «Ho lasciato la Siria per andare in Libano quattro anni fa - ha spiegato Wadih -, poi qualcuno mi ha parlato dei corridoi umanitari di Sant'Egidio, ho mandato un'email e loro mi hanno aiutato a venire in Italia, in aereo, insieme ad altre novanta persone. Mi trovo bene a Parma, è una bellissima città e le persone mi hanno accolto in modo molto gentile».
Svetlana Kolomiyets, invece, è arrivata a Parma quest'anno dal sud dell'Ucraina con i suoi due bambini. «Sono qui dallo scorso aprile - ha raccontato Svetlana - dopo un lungo e spaventoso viaggio di due giorni in bus. Quando ero in Ucraina sentivo spesso le bombe perché hanno colpito delle zone vicino alla mia città». 


[ Andrea Grassi ]