Matteo Maria Zuppi "Con Benedetto a Sant'Egidio a dare il cibo ai più poveri"

L'intervista
Il presidente dei vescovi ricorda Ratzinger: "Sempre attento al dialogo era una persona sobria, ma non fredda. Gli applausi lo imbarazzavano"

«Joseph Ratzinger era uomo di grande intelligenza unita a una genuina semplicità. Era sempre attento all'interlocutore, sempre pronto al dialogo, e sempre vicino alle persone più deboli. Tra le tante, per me è questa la sua immagine più bella. E indelebile»
. Il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) e arcivescovo di Bologna, nel 2012 fu nominato da Benedetto XVI vescovo ausiliare di Roma.
Eminenza, chi era per lei il Pontefice emerito?
«Innanzitutto è stato il Papa, e non è poco. Poi un uomo di grande intelligenza, di genuina semplicità, senza mondanità, che ha sempre aiutato a cercare l'essenziale. E ha sempre vissuto semplicemente il suo ruolo».
Da giovane lo definivano «riformatore», poi lo hanno descritto come conservatore rigido e chiuso.
«Ciò dimostra come le categorie siano spesso ingannevoli. E vadano, comunque, contestualizzate. Ricordo un suo testo sulla fraternità. Molto bello: parlava di un tema caro alla generazione del Concilio Vaticano II, il senso della comunione. Resta uno dei riferimenti più semplici e chiari della grammatica della riflessione teologica. Al di là degli stereotipi, si è rivelato un Pontefice fermo nella chiarezza della difesa della fede, ma con tanta intelligenza, tanto dialogo, tanto confronto. Come ho detto nella messa celebrata l'altro ieri in suo ricordo, la fede ci introduce a una vita più bella, umanamente più ricca di quella del mondo. "Rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere!", ha indicato nel suo testamento. "Ho visto e vedo come dal groviglio delle ipotesi sia emersa ed emerga nuovamente la ragionevolezza della fede". Lui non ha mai reciso con la spada il groviglio, ma vi è sempre entrato perché le domande trovassero le risposte adeguate. La fede e la ragione si completano, non divergono. Così l'amore e la verità: hanno bisogno l'uno dell'altra».
Che cosa ha pensato al momento della sua elezione a Papa, dopo i 27 anni di pontificato di San Giovanni Paolo II?
«Una sostanziale continuità, vista la lunga vicinanza con Giovanni Paolo II. Ma anche una profondità che non aveva nulla di esteriore. Quasi si imbarazzava quando veniva applaudito! Quando si è presentato al mondo, ha detto: sono un lavoratore nella vigna del Signore, sono qui a lavorare umilmente per il Signore, per la Chiesa e per il mondo. Con una sobrietà confusa con freddezza. E confonderle è molto pericoloso. Lui era un uomo sobrio, tutt'altro che freddo, tanto che aveva un grande senso di riguardo verso il suo interlocutore».
Come le comunicò di averla scelta vescovo ausiliare di Roma? E lei come reagì?
«Mi informò il nunzio apostolico in Italia, come da prassi. Mi stupì la nomina. Quando andammo in visita da Papa Benedetto, con tutti i vescovi ausiliari, si mostrò molto attento a informarsi sui problemi delle parrocchie, con grande gentilezza e desiderio di conoscere i problemi concreti della pastorale».
Che ruolo ha avuto il cardinale Ratzinger e poi Papa Benedetto XVI nella lotta contro la pedofilia e gli abusi sessuali nella Chiesa?
«Chiarissimo, importante. L'ha affrontato con determinazione. Ricordo la lettera, inequivocabile, inviata alla Chiesa d'Irlanda, in cui sapeva coniugare giustizia e misericordia, come deve essere, poiché non sono contrapposte. Nel mea culpa del febbraio 2022 ha chiesto perdono, non avendo assolutamente un atteggiamento difensivo o autoassolutorio, tutt'altro. Mostrava grande consapevolezza della sofferenza che gli abusi hanno provocato in coloro che si affidavano alla Chiesa, a esponenti della Chiesa che dunque sono doppiamente colpevoli».
Lei come ha vissuto la rinuncia al pontificato?

«L'ho saputo in sacrestia, prima di una messa. Era incredibile: "Ma siamo sicuri?", ci chiedevamo. La notizia sembrava non vera e provocò molto sconcerto. Colpiva, però, leggendo il testo, la sua serenità e la fiducia che quello fosse il bene della Chiesa e che la Chiesa è guidata dal Signore e che Dio avrebbe trovato le risposte. Questo mi ha molto tranquillizzato. Ci si rese conto di essere di fronte a qualcosa di storico. Ma la serenità del Papa dava fiducia e senso di responsabilità. Non era una capitolazione. La Chiesa si affidava nuovamente allo spirito e alla guida del Signore».
Che ricordo particolare ha di Papa Benedetto XVI?
«Quando sono diventato cardinale e sono andato con gli altri a salutarlo nel suo monastero, fu affettuosissimo, ricordava tutto. E quando venne a visitare la mensa della Comunità di Sant'Egidio, ero già vescovo, mi colpì come fosse a suo agio. Mangiò insieme ai, poveri con grande affabilità. E' l'immagine più bella di lui: un uomo sempre vicino anche alle persone più deboli».
Oltre a essere il Papa delle dimissioni, per che cosa sarà ricordato nella storia Joseph Ratzinger-Benedetto XVI?
«Per avere affrontato i problemi con grande onestà. Per il suo insegnamento teologico, la chiarezza e la semplicità della sua riflessione e della sua scrittura, per avere coniugato amore e verità. Infine, per aver riproposto, dopo cinquant'anni, lo spirito del Concilio, incoraggiandoci ad accettare che "nel campo del Signore c'è sempre anche la zizzania. Che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa", come affermò nel discorso dei 50 anni della grande Assise. E ci ha aiutati a capire che sperimentare la propria debolezza è motivo per essere più evangelici e se lo siamo saremo creativi e generativi. Ci ha indicato che cosa dobbiamo fare: rimetterci in viaggio come nel cammino di Santiago: "La Chiesa si deve rimettere in strada nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sè solo ciò che è essenziale: il Vangelo e la fede della Chiesa". E questo è ciò che lo unisce a papa Francesco».


[ Domenico Agasso jr ]