In 300 hanno marciato per la pace

1°Gennaio. La tradizionale manifestazione di Sant'Egidio ha sfidato il maltempo
Le testimonianze di chi è fuggito dal proprio Paese per garantirsi un futuro

«Questo era un carcere. Tante lacrime, sangue, dolore hanno segnato le pietre di questo luogo, che in tempi di pace è diventato però un luogo di cultura. E per questo oggi siamo qui: perché vorremmo che tutto ciò che la guerra distrugge, che segna di morte, possa con la pace diventare un luogo di vita». Così Daniela Sironi, responsabile piemontese della Comunità di Sant'Egidio, nel suo intervento conclusivo, nel cortile del Castello, della tradizionale Marcia per la pace, promossa ogni anno il 1° di gennaio dalla Comunità di Sant'Egidio in concomitanza con la Giornata mondiale per la Pace.
Nonostante la pioggia, sono comunque state circa 300 le persone che domenica pomeriggio si sono ritrovate in piazza Cavour per poi sfilare, precedute dal corpo musicale "A. Broggio" di Castelletto Ticino, fino al Castello, appunto. Davanti, lo striscione inneggiante la "pace in tutte le terre", Tra le mani dei manifestanti i cartelli indicanti i tanti Paesi nei quali ancora oggi divampano i conflitti: l'Ucraina, certo. Ma anche Iran, Afghanistan, Somalia, Repubblica Centrafricana, Senegal, Nigeria. Libano, Haiti, Sud Sudan...
Sul palco, al termine della marcia, storie di vita, di gente comune. Per testimoniare, come ha ricordato Sironi, che «nei Paesi in cui ci sono violenza, terrorismo, ingiustizia, sono proprio le persone comuni a soffrire». Storie di chi dai conflitti è riuscito a fuggire, costretto però a lasciare famiglie e cuore. Come Olga e Svetlana, arrivate dall'Ucraina a Novara nove mesi fa dopo un viaggio rocambolesco. «A Kiev - ha detto Svetlana - ho lasciato la mia famiglia. La guerra ha distrutto tutto, non solo le cose ma anche i cuori della gente. Dove c'è guerra non c'è futuro, ma io spero un giorno di poter tornare al mio Paese, alla mia vita». O come Quadratullah, rifugiato afghano costretto a fuggire nel 2021, al ritorno dei talebani, in quanto appartenente alla minoranza azara. «Da quando ero bambino, nel mio paese ho visto solo guerre e discriminazioni». E ancora Sennar, siriana, che oggi vive a Ghemme con il marito e una bimba. O infine Hassan, scappato a soli sette anni da un orfanotrofio di Marrakech con in testa l'idea di una vita migliore e arrivato in Italia qualche anno fa nascosto in un camion.
«Le storie che abbiamo ascoltato - ha sottolineato Daniela Sironi - sono storie di uomini e donne che sono stati aiutati da altri, perché ha ragione Papa Francesco a dire che nessuno può salvarsi da solo». Quindi l'augurio, mutuando le parole firmate a Roma al termine delle giornate di preghiera per la pace dai leader delle religioni mondiali: «Oggi siamo di fronte a un bivio. Scegliere se essere la generazione che lascia morire il pianeta cullando l'illusione di salvarsi da soli contro gli altri, o invece essere la generazione che crea nuovi modi di vivere insieme e abolisce la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti e ferma lo sfruttamento abnorme delle risorse del pianeta. Di fronte ai bambini ci vogliamo impegnare a lasciare loro un mondo migliore. Lo dobbiamo fare, perché il futuro della pace lo costruiamo da oggi».


[ Laura Cavalli ]