Famiglia in fuga adottata in paese

L'iniziativa è di una residente che ha coinvolto altri abitanti, tutti insieme hanno aiutato i coniugi che ora hanno appena avuto un altro bambino, Stefano

Ha sentito impellente una voce dentro che le imponeva di fare qualcosa per gli altri. Un "seme" gettato nella terra della sua comunità generosa che, a sua volta desiderosa di partecipare a un progetto umanitario, l'ha sostenuta nell'iniziativa portata avanti con la Comunità di Sant'Egidio di Roma. Nadia, che vuole rimanere anonima, ha 51 anni, vive a Rivalta di Brentino Belluno, è impiegata e ha un figlio. Un mondo che ha voluto allargare facendo arrivare in Italia una famiglia eritrea di richiedenti asilo in fuga dalla guerra civile scoppiata in Etiopia dove, in un campo del Tigrai, si erano rifugiati nel giugno 2018, come precisano a Sant'Egidio. Guerre di cui non si parla quasi mai.
Teldebirhan, Mhret e Yonas sono giunti in Italia a maggio 2021 e sono stati dapprima ospitati a casa di Nadia. Ora hanno, rispettivamente, 33, 30 e quasi 3 anni. A loro si è aggiunto, il 19 dicembre scorso, anche un altro figlio per cui hanno scelto un nome italiano: Stefano. Dopo la nascita, la famiglia ha sentito il bisogno di una casa più ampia che la comunità ha trovato a Belluno Veronese. Teklebirhan lavora come operaio in una ditta del posto assunto a tempo indeterminato. Mhret segue casa e bimbi. Yonas, invece, a settembre andrà alla scuola dell'infanzia. Seguono un progetto di integrazione esemplare che rende orgoglioso un paese, specie le quattro famiglie che stanno aiutando Nadia, tra le quali quella del sindaco Alberto Mazzurana.
Racconta Nadia: «Nel 2015 la Comunità di Sant'Egidio, in accordo col Ministero dell'Interno, ha istituito corridoi umanitari per evitare il traffico di persone in mare e tutelarne l'integrità introducendoli nel Paese di accoglienza e seguendo un programma di inclusione (i primi arrivi furono siriani dal Libano, ndr)». Il contatto con Sant'Egidio è stato di Nadia. «Da tempo avevo maturato l'esigenza interiore di dare a qualcuno la possibilità di un futuro migliore e prospettive di crescita, facendo un'esperienza personale che sapevo avrebbe implicato un cammino comune», spiega. Cammino comune cui teneva molto perché voleva «che il suo desiderio, "come lievito", maturasse in altri.
«Partecipo alla vita comunitaria», continua, «dove ho cercato altri che volessero, in libertà, vivere con me il progetto. Mi ritengo fortunata e volevo mettere a disposizione ciò che ho per dare gioia ad altri. L'ho fatto assecondando anche il mio amore per l'Africa», rivela, «terra cui sono affezionata anche per un'esperienza di missione fatta nel 2019 in Mozambico da dove sono tornata carica di energia e decisa a fare qualcosa di concreto per gli altri». E' venuta così a contatto con la Comunità di Sant'Egidio, istituzione riconosciuta che, nei "Paesi di transito", ha rapporti con le persone in attesa. «Mi proposero, mostrandomi una foto questa mamma, questo papà e Yonas», spiega Nadia.
Nel febbraio 2021, mentre veniva loro comunicato che sarebbero potuti venire in Italia grazie a una persona disposta all'accoglienza, lei ha cercato una rete di famiglie che l'avrebbero accompagnata. Le ha trovate, presentate alla Comunità ed è scattato il conto alla rovescia. «Siamo atterrati a Roma a fine maggio 2021 e, dopo la quarantena per il Covid, siamo arrivati a Verona in treno», racconta Teldebirhan. Nadia aggiunge: «Ricordo con commozione quando li ho visti in stazione Porta Nuova con un paio di valige con dentro tutta la loro vita: qualche vestito, alcuni oggetti personali, delle foto. Abbiamo parlato subito perché lui parla inglese e si è risolta così la mia preoccupazione per la lingua».
Anche in paese tutto è andato bene, grazie alla rete creatasi, alla tenacia di Nadia e al continuo supporto della Comunità di Sant'Egidio. «È stata dura, perché si è dovuto fare molto lavoro a livello relazionale e burocratico, ma ho ascoltato la.voce interiore che mi spingeva a proseguire senza badare a obiezioni e ostacoli. Con la comunità si è superato tutto, anche la notizia, a marzo, dell'inattesa gravidanza. Grazie a una gestione di gruppo, ognuno si è ritagliato il tempo per aiutare la futura mamma, anche nell'accompagnarla alle visite». Quando il piccolo è nato ogni preoccupazione si è sciolta in gioia. «Tutto è divenuto normale e abbiamo festeggiato insieme», dice Nadia. «E stata una festa il Natale cattolico e una festa quello ortodosso. La prossima sarà il battesimo di Stefano il 12 febbraio a Milano. Una nuova vita, un'esperienza piena di soddisfazioni e amore che ho voluto e consiglio». 


[ Barbara Bertasi ]