Sant'Egidio "facilitatore" di pace: si torna al tavolo del dialogo

L'impegno della Comunità fondata da Andrea Riccardi
Parla Mauro Garofalo, responsabile relazioni internazionali, in campo nel Paese africano. «Già si vedono i frutti della presenza del Pontefice: riprenderanno i colloqui. Un percorso di riconciliazione nazionale per fermare gli scontri etnici»

«Si vedono già i frutti della visita del Papa in Sud Sudan». Mauro Garofalo è a Juba. Da responsabile delle relazioni internazionali della Comunità di Sant'Egidio, sa bene che nel «Paese adolescente» dell'Africa, come lo definisce, indipendente dal 2011, non è ancora dietro l'angolo una riconciliazione nazionale che faccia calare il sipario su violenze tribali e scontri. «Ma proprio in questi giorni il presidente Salva Kiir Mayardit ha annunciato la ripresa dei colloqui con i gruppi non firmatari dell'accordo del 2018. Si tratta di un atto di buona volontà in occasione del viaggio di Francesco e dice che è possibile ricominciare a lavorare per un percorso più inclusivo e per la fine delle violenze».
L'accordo del 2018 è quello che ha chiuso il capitolo della guerra civile - che ha provocato migliaia di morti e milioni di sfollati - con la nascita di un governo di unità nazionale fra i partiti dei due principali contendenti Salva Kfir Mayardit e Riek Machar, esponenti delle due etnie più numerose, rispettivamente i Dinka e i Nuer. Un'intesa, però, rigettata da alcuni gruppi che ci leggono una spartizione di potere e un tentativo di controllo delle ricchezze del Paese. Si deve alla Comunità di Sant'Egidio il grande gesto che a Roma nel gennaio 2020 ha portato allo stesso tavolo il governo e l'opposizione non firmataria e da cui è scaturita la dichiarazione che riconosce l'opposizione come parte del processo.
Del resto la Comunità fondata da Andrea Riccardi non è nuova a sfide di pace in Africa, come testimoniano le azioni nella Repubblica Centrafricana, in Guinea Conakry, in Libia e in Niger dove anche Garofalo è stato impegnato. «L'amicizia di Sant'Egidio con il Sud Sudan risale a prima che il Paese esistesse come Stato autonomo - spiega -. Già dal 1994 il padre della patria, John Garang de Mabior, visitava la Comunità. È una vicinanza che non si è mai interrotta nonostante le vicissitudini e che ha sempre avuto come intento quello di aiutare a individuare percorsi concreti di pace». Fondamentale è stata l'iniziativa di papa Francesco che nell'aprile 2019 aveva convocato in Vaticano, insieme con l'arcivescovo di Canterbury e il moderatore della Chiesa di Scozia, un ritiro spirituale per i leader del Paese, al termine del quale si era inchinato a baciare i piedi degli ospiti implorando di costruire la pace.
Nel 2020 a Roma il primo incontro di tutte le parti. «Da lì e, anche grazie ai nostri contatti, abbiamo aperto un canale nuovo. Eravamo coscienti che l'accordo di pace aveva lasciato fuori tante anime popolari. Tutte sono confluite nell'appuntamento di Roma di tre anni fa che è stato una risposta all'intuizione profetica e dirompente dal Papa e che ha indicato la rotta». Oggi il Sud Sudan è una nazione ferita. «E non ha ancora trovato le vie politiche e democratiche per incanalare i problemi interni. È in corso una difficile transizione nella quale noi siamo convinti che soltanto attraverso il dialogo, da tessere testardamente e faticosamente, si possa passare dallo scontro al confronto. Servono spazi di dialogo fra la leadership politica di Juba e i ribelli, che facciano da argine al ricorso alle armi. Perché soprattutto nelle zone più distanti dalla capitale c'è ancora troppa violenza».
Le Nazioni Unite stimano infatti che ci siano più di 800mila armi leggere nelle mani dei civili. Nel 2022 si sarebbero dovute tenere le elezioni ma i ritardi hanno spinto Salva Kiir Mayardit e Riek Machar a rimandarle di due anni. «Una mossa che ha indispettito la comunità internazionale - avverte Garofalo -. È vero: alcuni impegni non sono stati mantenuti. E anche l'accordo del 2018 non è stato del tutto implementato. Il mondo preme perché si arrivi a un'elezione democratica. Ma qui vere elezioni non ci sono mai state ed è necessario giungerci nella maniera più condivisa possibile».
Com'era accaduto in Vaticano nel 2019, Francesco ha in questi giorni al suo fianco l'arcivescovo di Canterbury e il moderatore della Chiesa di Scozia. «È una tappa ecumenica che mostra come il Sud Sudan sia un Paese profondamente cristiano seppur animato da numerose denominazioni - sottolinea l'esponente di Sant'Egidio -. Tutte le Chiese sono in prima linea nel cammino di riconciliazione nazionale e rappresentano un antidoto all'etnicismo. Il Pontefice sostiene questi sforzi». E, guardando al calore con cui il Sud Sudan sta abbracciando Francesco, Garofalo conclude: «In questi giorni molti dicono qui che il Paese era salito sulla ribalta planetaria quando il Papa si era inginocchiato davanti ai capi politici; e ora torna sulla scena internazionale per la presenza di tre leader religiosi mondiali che insieme visitano questo territorio. La speranza è che si possa scrivere una storia di concordia lasciandosi alle spalle un
passato di sangue e inimicizie»


[ Giacomo Gambassi ]