Il grido del Papa dal Sud Sudan. "Basta sangue è ora di costruire"

Il viaggio in Africa
"E' il momento di voltare pagine affinché questa terra non si riduca a un cimitero". Francesco e l'arcivescovo di Canterbury in missione di pace. Il presidente Kiir pronto a tornare a negoziare a Sant'Egidio

È il Paese più giovane del mondo ed è già devastato da una guerra civile che su 12 milioni di persone ha causato 400mila morti, due milioni e mezzo di rifugiati e due milioni di sfollati interni. Ma c'è un motivo supplementare per cui il Sud Sudan sta a cuore a papa Francesco, giunto ieri a Giuba nell'ultima tappa di un viaggio in Africa subsahariana cominciato dal Congo. Terra di missione da metà dell'Ottocento, il Paese si è reso indipendente nel 2011 dal nord musulmano, con l'attivo sostegno dei missionari dell'epoca. E sebbene le violenze, che andavano avanti da decenni, seguano linee etniche e motivazioni economiche, legate allo sfruttamento delle risorse naturali, oltre il 60 per cento della popolazione è cristiana: anglicana, presbiteriana, ma principalmente cattolica.
Quella in Sud Sudan è una guerra che riguarda la Chiesa, e Jorge Mario Bergoglio vuole fare il possibile per fermarla. «Affinché questa terra non si riduca a un cimitero, ma torni a essere un giardino fiorente, vi prego, con tutto il cuore, di accogliere una parola semplice: non mia, ma di Cristo, quando, di fronte a un suo discepolo che aveva sfoderato la spada, disse: basta!», ha detto Jorge Mario Bergoglio accolto ieri pomeriggio, a 35 gradi all'ombra, nei giardini del palazzo presidenziale. «Basta sangue versato, basta conflitti, basta violenze e accuse reciproche su chi le commette, basta lasciare il popolo assetato di pace. Basta distruzione, è l'ora della costruzione. Si getti alle spalle il tempo della guerra e sorga un tempo di pace».
E' la seconda volta che il Papa latino-americano cerca di incidere. La prima volta parlò con i gesti. Era il 2019 e invitò a Roma i due nemici, Salva Kiir, capofila delle tribù Dinka, maggioritarie nel Paese, e Riek Machar, riferimento dei Nuer. Stanno insieme in un governo di unità nazionale ma si fanno la guerra per interposte milizie. Quello di Roma fu ufficialmente un ritiro spirituale, in realtà un vertice in terreno neutro. E Bergoglio lo chiuse in modo eclatante: si inginocchiò carponi per baciare i loro piedi e implorare la pace. Gesto umile, che inchiodava però pubblicamente i due politici alle loro responsabilità.
Sono passati gli anni e poco o nulla è cambiato. Solo nelle ultime 24 ore, all'arrivo del Papa nel Paese, sono state uccise 35 persone. Per «passare dalle parole ai fatti», per «voltare pagina», per riavviare il cammino della pace «tortuoso ma non più rimandabile», Francesco ha deciso di venire di persona in Sud Sudan. Nonostante gli 86 anni e la difficoltà a camminare. Ma ha deciso di viaggiare non da solo, bensì in compagnia dell'arcivescovo di Canterbury, ossia il primate della comunione anglicana, e del moderatore della Chiesa scozzese. Erano presenti anche loro a Roma nel 2019, un "pellegrinaggio ecumenico di pace", però, non si era mai visto. Leader cristiani uniti per la pace mentre nel Paese i cristiani si fanno la guerra.
Il presidente Salva Kiir, il cappello da cowboy sempre in testa, ha colto l'occasione per annunciare l'intenzione di riesumare il tavolo avviato a Roma nel 2019 dalla Comunità di Sant'Egidio, un negoziato per coinvolgere i gruppi politici e militari rimasti fuori dal processo di pace. Il vescovo Christian Carlassare, missionario comboniano gambizzato due anni fa nella sua diocesi, ha portato a Giuba a piedi un gruppo di ragazzi di etnie differenti. Qualcosa si muove, ma Francesco ha strigliato i leader sudsudanesi. La gente ha bisogno «di padri, non di padroni», ha scandito. Ha fustigato la corruzione, i «giri iniqui di denaro», le «trame nascoste per arricchirsi», gli «affari clientelari», la «mancanza di trasparenza», i pochi investimenti negli ospedali e nelle scuole. «Le generazioni future onoreranno o cancelleranno la memoria dei vostri nomi in base a quanto fate ora», ha detto.
L'arcivescovo di Canterbury ha rincarato la dose: «Avevate promesso di più, ci aspettavamo di più». Toni inusitatamente forti. «So - ha detto il Papa - che alcune mie espressioni possono essere state franche e dirette, ma vi prego di credere che ciò nasce solo dall'affetto e dalla preoccupazione con cui seguo le vostre vicende, insieme ai fratelli con i quali sono venuto qui, pellegrino di pace
». E' l'ultima chance.


[ Iacopo Scaramuzzi ]