"Bisogna far crescere una cultura di pace"

Intervista ad Andrea Riccardi

 La terza e ultima serata della Settimana sociale, svoltasi a Pieve di Soligo, ha visto confrontarsi su "Desiderio di pace: il senso del confine e la logica del potere" il prof. Guglielmo Cevolin, presidente dell'associazione Historia, e il prof. Paolo De Stefani, docente di diritto internazionale all'Università di Padova. Il loro dialogo è stato introdotto da una videointervista, precedentemente registrata, ad Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio. Ne riportiamo i passaggi salienti.
Nel modo di affrontare la guerra in Ucraina, i cristiani si mostrano divisi. Secondo lei, come si dovrebbe abitare da credenti questo conflitto? Quali le vie di pace?
È la domanda che tutti portiamo dentro. Il grido degli ucraini ha vinto la nostra sordità. L'Europa, infatti, è stata sorda alle grida di guerra: penso ai dodici anni della guerra in Siria, per la quale non ho visto una sola manifestazione, non ho visto un intervento, se non quello di papa Francesco. La Chiesa mantiene forte l'impegno per la pace e noi dobbiamo approfondirlo e interrogarci.
Non sono solo le immagini a interpellarci: sono anche i profughi che abbiamo accolto nel nostro Paese. Si tratta di una pagina che dobbiamo sottolineare: nel tanto male della guerra, c'è anche qualche segno di bene e l'Italia ha saputo accogliere generosamente. E' anche la dimostrazione che accogliere gli stranieri non è così traumatico, ma è il futuro del Paese.
Quello che sta accadendo in Ucraina è qualcosa di drammatico. È un Paese distrutto: il 20 per cento della popolazione è all'estero; un altro 20 per cento è di sfollati. Le città e le infrastrutture sono distrutte. Vediamo gli anziani in case fredde e soli.
Dobbiamo guardare e chiederci: "Fino a quando?': Purtroppo, non sappiamo fino a quando: la guerra rischia di eternizzarsi. Siamo senza vinti e senza vincitori e anche senza pace. Questo è un dramma soprattutto per il popolo ucraino che soffre questa invasione. Soffrono anche i ragazzi: si parla di 200mila russi morti o feriti e altrettanti ucraini; almeno mille bambini morti... Ebbene, questa guerra è una sconfitta del cristianesimo, soprattutto del cristianesimo d'Oriente. 
Ucraini e russi nascono dallo stesso battesimo di Rus; provengono dalla stessa Chiesa, hanno gli stessi vescovi, che ora si sono divisi...
Nel 2014 papa 
Francesco disse che ucraini e russi sono "popoli fratelli": hanno famiglie incrociate, appartengono allo stesso gruppo etnico. Ora in Ucraina c'è una Chiesa ortodossa spaccata. Penso anche al recente fallimento della tregua di Natale, che avrebbe potuto far assaporare la pace e che c'è un'altra via oltre alla guerra. Ma non c'è stata, un vero fallimento! Che cosa possiamo fare, allora? Non dobbiamo rassegnarci alla guerra, perché il sottile virus è rassegnarci alla guerra». 
Quale valutazione sul modo in cui i nostri governi hanno affrontato il tema della guerra? Uno sguardo internazionale sul conflitto ucraino?
«In Ucraina si è investito molto sull'aspetto militare. Pochissimo sull'aspetto diplomatico. l ponti sono stati tagliati subito e la parola è stata lasciata alle armi. Che gli ucraini abbiano il diritto alla resistenza, non c'è dubbio. Che questa resistenza vada appoggiata, non c'è dubbio. La resistenza ucraina è stata una grande sorpresa, anche per i russi, che alla fine hanno  ricompattato gli ucraini con la loro aggressione brutale. Il mio problema è per il popolo ucraino: come aiutarlo ad uscire da questa situazione che lo sta divorando?
Qui 
si colloca l'importanza di una azione diplomatica. Cina e Usa hanno un ruolo decisivo. L'Ue non riesce ad averlo e sembra essere "a trazione': Qui matura il nostro senso di impotenza: che cosa possiamo fare? Un Paese come l'Italia, che cosa conta? Bisogna ragionare come cristiani e come cittadini. Abbiamo fatto un errore ad abbandonare un ragionamento sulla pace. Qui c'è bisogno di far crescere una cultura di pace.
É morta la generazione che ha vissuto la Seconda Guerra Mondiale: i nostri vecchi odiavano la guerra perché la conoscevano. Oggi la guerra diventa un "game'; un gioco. La guerra invece non è un gioco, ma è un orrore. Abbiamo riabilitato la guerra come strumento per risolvere i conflitti tra Stati: pensiamo alla Libia, all'Afghanistan... Al contrario bisogna fare crescere una cultura di pace. Far crescere la cultura della pace attraverso la conoscenza e l'informazione, perché nel mondo contemporaneo tutto si contagia. Anche il rischio nucleare. 
La crescita dell'impegno della diplomazia è quello che noi chiediamo; crescita della cultura della pace, che si sviluppa anche con la solidarietà verso i profughi e verso i poveri. Diceva Giovanni Paolo Il: "Se vuoi la pace, va incontro al povero': E poi dobbiamo pregare di più per la pace. Karl Barth affermava che la nostra preghiera modifica le decisioni di Dio. La preghiera è alla radice della pace: mi riferisco anche alle preghiere dei fedeli della messa della domenica».
Cattolici uniti, rilevanza e irrilevanza dei cattolici... Siamo condannati anche noi all'individualismo?
«L'individualismo di oggi non riguarda solo i cattolici. È frutto del cambiamento antropologico del nostro tempo: il passaggio dal noi all'io. Tutti i "noi" si sono logorati: dai partiti alla Chiesa... Anche la Chiesa rischia di chiudersi in una bolla autoreferenziale. Inoltre, per i cattolici, non si può più auspicare un orientamento politico unitario, ma il nostro "noi" deve generarsi dalla vita delle nostre comunità. La
 
rilevanza è fatta di azione e profezia: oggi la profezia è un'immaginazione alternativa, non più o non solo denuncia. Come gli antichi profeti, profezia oggi è dire al popolo esule "tornate a Gerusalemme": la profezia oggi è gridare "pace".
Dobbiamo accettare la sfida della rilevanza: accettare la rilevanza per amore della pace dei poveri e di una società più fraterna. Noi parliamo molto dei problemi della Chiesa, ma la Chiesa non solo è fatta di quelli che vengono a messa: c'è tanta gente sensibile che magari non partecipa assiduamente... Inoltre, noto che c'è grande attenzione da parte di molti a quello che dice il Papa, i vescovi.. Forse ci siamo impigriti, ci siamo abituati alla impotenza. Questa guerra non è forse un appello?».
La comunità di Sant'Egidio e riuscita, nel corso degli anni, a propiziare concreti cammini di Irace. Com'è stato possibile?
«Si tratta di servire la pace con pazienza e realismo. Con un realismo "quotidiano': perché bisogna avere visioni e poi provare a realizzarle. Abbiamo raggiunto cosi la pace in Mozambico, nel '92, ed ora siamo presenti anche in Sud Sudan. Il Papa è un grande uomo di pace, pensiamo alla "Fratelli tutti", a quello che ha detto e fatto in Congo, un Paese segnato dalla corruzione e dalla guerra. Il ministero di pace dei Papi ha avuto inizio nei primi decenni del Novecento.
Cercare la pace significa però anche sporcarsi le mani. Le parole del Papa possono avere una ricaduta. La Chiesa ha un grande ministero di pace: noi cristiani dobbiamo essere - come diceva Clemente Alessandrino - un popolo pacifico': Come ha ribadito il Papa, dobbiamo essere "mediatori" e non "intermediari": il mediatore, a differenza dell'intermediario, 
paga del suo e non guadagna. Pace vuol dire ricostruire un "noi": il nazionalismo è una superfetazione dell'egoismo».
Nella "Fratelli tutti" Papa Francesco scrive che il futuro non è monocromatico, parla di architettura e artigianato della pace. Come a dire che c'è una valorizzazione delle diversità che tocca tutti e che favorisce la pace.
«Come ho già detto, la Chiesa e il "popolo pacifico". Dai bambini agli anziani, tutti possono esser artigiani di pace e fare qualcosa per gli altri. La pace non sarà monocromatica: è un compito della Chiesa. Il futuro è nella ricchezza delle diversità: come in passato, la Chiesa può creare osmosi tra i diversi popoIi. Ci vuole creatività per farlo e lo Spirito è creatività. E poi è necessaria la capacità di ricucire il tessuto: anche questo è necessario per la pace». 


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