«Fare della complessità una lezione di libertà

Riccardi (Sant'Egidio) all'apertura dell'Anno accademico dell'UniPr
UniPr apre l'Anno accademico con la prolusione di Andrea Riccardi (Sant'Egidio): «Occorre far risorgere una cultura di pace che faccia i conti con la realtà: se la pace si perde troppo a lungo, il mondo muore»

«La pace perduta». È il titolo della prolusione tenuta all'inaugurazione dell'Anno accademico dell'Università da Andrea Riccardi, storico, fondatore della Comunità di SantEgidio, ma anche la fotografia di quanto sta avvenendo oggi. In Europa, in Ucraina, «ad un anno dalla barbara invasione lesiva di uno stato riconosciuto dalla stessa Russia», ma anche in tante parti del mondo.
Pace perduta, perché - cita Edgar Moren - «si capisce il valore della pace, quando manca, come l'aria» E, nella consapevolezza che «più la guerra si aggrava, più la pace è urgente» e che una guerra mondiale, con le minacce atomiche incombenti, sarebbe certamente peggiore della precedente. In questo contesto potrebbe sembrare - ma non è - «anacronistico» parlare di pace «Troppi - denuncia Riccardi - pagano il prezzo della pace perduta».
Il suo pensiero va all'Ucraina che, nel secolo scorso, ha vissuto una storia dolorosissima, «di fame e di morte». Storia che l'ha portata a costruire una propria identità, «di frontiera», come il nome stesso significa. Identità resa ancora più forte dall'attacco russo. E se tutto il popolo sta pagando un prezzo altissimo - tra esodo forzato e la sopravvivenza (si parla di 17 milioni) legata agli aiuti umanitari, oggi in diminuzione - il pensiero di Riccardi va in particolare ai giovani, che «conoscono la guerra sulla propria carne». Con un destino così diverso dai loro coetanei. Perché «la pace è perduta».
Riccardi individua una chiave di lettura: l'incapacità di decifrare la complessità. «Oggi è tempo di terribili semplificazioni, mentre la complessità globale chiede una resistenza alle semplificazioni che nulla spiegano, ma molto rassicurano. Semplificazioni che si associano a tifoserie, polarizzazioni ... «inadeguate per capire». Monito anche per le Università, che devono fare della complessità una lezione, educando così al pensiero e alla libertà.
Lo sguardo di Riccardi si allarga alla Siria, che da 12 anni sta vivendo un grave conflitto, «senza un vero coinvolgimento della opinione europea , riemerso ora con il terremoto. Conflitto che non solo «precede, ma prepara la guerra in Ucraina». Mancanza di mobilitazione (come ci fu per la guerra del Golfo) e conseguente riabilitazione della guerra come soluzione dei conflitti e affermazione dei propri interessi, perché si sono spenti i testimoni, le generazioni dei sopravvissuti. Forte la provocazione di Turoldo ai giovani: «Non percorrete le strade che abbiamo percorso noi». Riducendo la guerra, sempre questione di altri, ad un «game», lontano dalla «guerra sporca», diventato «compagno abituale della nostra storia». Forse per questo, nelle sue memorie, il principe britannico Harris si vanta di aver ucciso come pedine 25 persone dall'aereo in Afghanistan. Una guerra «pulita», questa, se può esistere un tale binomio.
«Abbiamo vissuto un tempo di pace e ne abbiamo smarrito il senso».Il dito è rivolto contro l'Occidente. Ritorna alle acquisizioni del secondo conflitto mondiale, che hanno «plasmato pensieri, diritto, operando un cambiamento di coscienza»: dalla Carta delle Nazioni Unite (vedi preambolo) alla istituzione della Corte internazionale di giustizia dell'Aja, «c'è un percorso positivo di coscienza di pace. Alla base della Corte c'è lo Statuto di Roma firmato nel '98. Allora si credeva ottimisticamente che l'unificazione dei mercati portasse automaticamente alla pace, alla giustizia, alla democrazia, quasi ci fosse una Provvidenza della globalizzazione».
In realtà, proprio la coscienza degli orrori vissuti nella Seconda Guerra Mondiale, ha portato ad essere guardinghi e a porre azioni e parole forti contro la guerra nelle Costituzioni dei vari Stati (vedi quella italiana, che usa il verbo «ripudia»). Messaggio che, nel tempo, si è purtroppo affievolito.
Si potrebbe dire anche guerra dimenticata. Riccardi torna al dramma dell'Ucraina, nella duplice prospettiva di un popolo privato della libertà e delle vite perdute. «Il conflitto si qualifica per un coinvolgimento compatto dell'Occidente a favore del governo ucraino, ma anche per lo stallo sostanziale del conflitto con il rischio di una guerra senza fine. L'Occidente non lascerà vincere Mosca, ma gli Ucraini non potranno vincere i russi. E in questo stallo l'effetto probabile è l'etemizzazione della guerra. Tutto lascia prevedere che la guerra, duri senza vinti e vincitori, si eternizzi». Cita Macron che a Roma recentemente disse: «E un momento strano per parlare di pace». «Ma se non ora, quando?», la domanda.
«La brutalità della guerra fa perdere il contatto con la realtà, la realtà è proteggere la libertà del popolo ucraino, ma evitare la perdita di vite umane. Due esigenze che sembrano incompatibili e che possono stare insieme solo con la diplomazia, nella sua duttilità», su cui si è investito poco. Perché, questo mondo così interconnesso come il nostro non si tiene insieme, secondo Riccardi, senza dialogo e senza una visione dell'interesse generale. «Occorre far risorgere una cultura di pace che faccia i conti con la realtà, non perseguendo una pace troppo pura (che porta con sé la guerra), ma accettando anche una pace impura. E, nello stesso tempo, la pace ha 'bisogno di visione». Mentre oggi la pace, anche ottenuta dalla vittoria militare, è scomparsa dall'orizzonte. Pace perduta, anche nel vocabolario, con un duplice richiamo: «Se si perde troppo a lungo, il mondo muore». E a noi, che godiamo ancora della Pace, l'imperativo della solidarietà e dell'impegno culturale.



[ Maria Cecilia Scaffardi ]