Troppa violenza in tv e sui social da anni mancano narrazioni opposte

L’analisi
Davanti alla violenza e al sangue che continua a scorrere per le strade di Napoli, e che vede abbassare l’età dei protagonisti e delle vittime di fatti di sangue, sembra prevalere un senso di assuefazione e di ineluttabilità: poche reazioni, un timido indignarsi e alla fine nessuna scossa degna di merito. Avvenimenti che vengono derubricati ad uno dei tanti affanni che vive la città, come il traffico o il problema dei trasporti pubblici, e dopo qualche giorno non se ne parla più.
Eppure la ferocia ha raggiunto livelli inaccettabili. L’accoltellamento di un ragazzino di 12 anni da parte di un suo coetaneo, solo per miracolo non è finito in modo tragico, mentre l’aggressore e i suoi genitori hanno minimizzato l’accaduto, parlando di una banale lite.
La presenza femminile sulla scena delle zuffe rappresenta da un po’ di tempo una allarmante novità. Ne è un esempio il furioso
“strascino” di cui è stata vittima l’altra sera una quattordicenne, da parte di una banda di ragazzine, per un messaggio di troppo al fidanzatino conteso. Ma alla violenza minorile si aggiunge quella che, per mano della camorra, coinvolge giovanissimi che diventano boss quando ancora sono in erba, bruciando tutte le tappe della carriera criminale.
Colpisce il ferimento del diciannovenne di Pianura, già considerato capo di un clan alla sua giovane età. Il ragazzo era stato
raggiunto da alcuni colpi di pistola mesi fa, mentre recentemente avevano sparato contro le finestre della sua abitazione. Tuttavia, questi gravi episodi non l’avevano fatto desistere dalla ambizione alla scalata criminale. Forse si considerava un immortale come Ciro, il personaggio di Gomorra, un sopravvissuto per “vocazione”.
Credo che una grande responsabilità di questa degenerazione sia imputabile anche alle serie televisive, ai film e ai canali social che trasmettono messaggi e contenuti carichi di violenza, e che fanno dell’aggressività il modello principale con cui affermarsi nella vita. Qualcuno dovrebbe porsi il problema di arginare la diffusione di questi esempi di brutalità, che hanno un costo sociale che forse abbiamo troppo sottovalutato.
Quello della violenza giovanile è un fenomeno complesso che ha diverse sfaccettature e che richiede assunzione di grandi
responsabilità. Ci sono giovani che per gioco, sfida, rabbia o noia finiscono nel mondo dell’illegalità, e quasi senza rendersene conto vanno incontro ad un destino segnato. A volte basta una sfumatura per tracciare il confine tra la colpa e l’innocenza.
E spesso alcol e droga, accessibili sempre più facilmente anche ai ragazzini, spalancano la porta ad una vita dissennata, che per lo più diventa una vita anestetizzata.
D’accordo con Gemma Tuccillo che ieri su questo giornale ha parlato di una rete di protezione, tutta da inventare e sostenere.
Su questo versante abbiamo assistito in questi anni ad un rimpallo di responsabilità. La scuola dice che è colpa della famiglia, la
famiglia accusa la scuola, la scuola e la famiglia colpevolizzano la società, e così via. Ma così tutto resta statico e cristallizzato e non cambia mai nulla.
E’ compito delle istituzioni creare questa rete, cominciando a sostenere le associazioni di volontariato, il terzo settore e anche
quelle palestre che hanno il merito di togliere i ragazzi dalla strada avvicinandoli allo sport, e che talvolta sono costrette alla
chiusura, come è successo recentemente, per non essere in grado di sostenere gli elevati costi di affitto delle strutture, perlopiù
comunali. Penso anche alle virtuose esperienze di messa alla prova dei minori, dove all’inizio si presentano ragazzi spavaldi che poi piano piano cominciano a fare e farsi delle domande fino ad intenerirsi nell’incontro con gli immigrati, come avviene a Scampia, quando insieme ai volontari gli portano un panino e un po’ di allegria.
Molti invocano più carcere per i minori e soprattutto chiedono l’abbassamento dell’età imputabile. Tuttavia il carcere, questo
carcere, non è in grado di educare, ma riesce solo ad esaltare quelle dinamiche negative che rendono scaltri e rapaci. Non è di
questo che hanno bisogno i ragazzi caduti nelle maglie della criminalità. Per questi minori che non siamo riusciti ancora a salvare c’è bisogno di percorsi di accompagnamento che necessitano di più personale nei settori dei servizi sociali e della giustizia minorile.
Si tratta poi di lavorare per ridare ai bambini la dimensione vera dello stare insieme, che non può essere solo competizione o
sopraffazione. E questa è una responsabilità di noi adulti che da genitori, maestri, educatori, abbiamo a lungo disatteso. In questo la scuola ha un suo compito importante, quella scuola che spesso i minori cosiddetti a rischio non frequentano. L’iniziativa intrapresa dal Prefetto Palomba sul monitoraggio delle assenze scolastiche, è di fondamentale importanza. A questa dovrà far seguito una presa in carico degli alunni inadempienti, non sottraendo la famiglia alle proprie responsabilità. 
Solo con un impegno concreto e collegiale Napoli potrà risvegliarsi da un incantesimo collettivo, non più imprigionata dal demone dell’impotenza e della rassegnazione.

[ Antonio Mattone ]