Un Memoriale per la Chiesa di oggi

Inaugurato un nuovo spazio espositivo nella basilica romana di San Bartolomeo all`Isola
Non sono semplici oggetti ma reliquie che raccontano una storia, un frammento di vita di missionari e martiri, che donarono la vita per i fratelli. È questo il tesoro spirituale custodito nella basilica romana di San Bartolomeo all'Isola, affidata alla Comunità di Sant'Egidio nel 1993 da san Giovanni Paolo II. E che si è arricchito con l'inaugurazione del Memoriale dei Nuovi Martiri del XX e XXI secolo, uno spazio espositivo allestito nella cripta, che consentirà ai pellegrini e ai visitatori di conoscere ín modo più approfondito le storie dei martiri contemporanei.
Quando si entra nell'antica basilica, sorta oltre mille anni fa sull'isola Tiberina, è subito visibile la grande icona posta sopra l'altare maggiore. Dipinta da Renata Sciachì della Comunità di Sant'Egidio, rappresenta la storia dei testimoni del secolo passato, alla luce di una riflessione teologica sul libro dell'Apocalisse. In alto, spicca Cristo in trono, circondato da angeli e da una moltitudine vestita di bianco e con in mano le palme del martirio. Sono donne e uomini che hanno vissuto il grande Libro del Vangelo, incarnandolo fino all'ultimo respiro. Papa Francesco, visitando la basilica il 22 aprile 2017, aveva pronunciato queste parole: «I martiri sono i testimoni che portano avanti la Chiesa, quelli che testimoniano che Gesù è risorto».
All'inaugurazione della nuova area espositiva sono intervenuti il cardinale vicario, Angelo De Donatis, il cardinale Blaise Cupich, arcivescovo di Chicago e titolare di San Bartolomeo, l'arcivescovo Fabio Fabene, segretario del Dicastero delle Cause dei santi, Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, e il prefetto Fabrizio Gallo, direttore del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno.
«Il fatto che in questa stessa basilica siano conservate le reliquie di Bartolomeo - ha detto monsignor Fabene - ci ricorda che il martirio è una realtà che è stata sempre presente nella Chiesa fin dalle sue origini». Una realtà che accomuna tutte le confessioni cristiane. In questo senso, anche il fatto che nella basilica siano presenti reliquie di cattolici, ortodossi, anglicani, aiuta a comprendere come «l'ecumenismo dei martiri, e del sangue, è sempre il più convincente». «I martiri rivelano l'unità dell'umanità, hanno il potere di ricostruire la fraternità tra tutti i popoli», ha detto l'arcivescovo Cupich, che ha sottolineato l'importanza che queste reliquie siano raccolte a Roma, «patria comune» della cristianità. Tuttavia, «l'evento che viviamo oggi - ha sottolineato il cardinale De Donatis - ha un sapore dolce e amaro. Se ripercorriamo con la mente e il cuore l'esemplarità della vita dei santi martiri, ci troviamo a percepire un sapore spirituale dolce». E d'altro canto, «il sapore amaro si sente quando si pensa che il martirio è tornato di attualità nella vita della Chiesa».
In questo senso, le vicende dei nuovi martiri, ha osservato Riccardi, capovolgono un'immagine di Chiesa forte e vincente: «Penso a Óscar Romero, ucciso mentre celebrava la messa, a Vittorio Bachelet, l'uomo più mite che ci fosse, ucciso dalle brigate rosse, poi don Pino Puglisi e don Peppe Diana, colpiti dalle mafie e il giudice Rosario Livatino, che qualcuno aveva definito colpevole di essere onesto. Perché uccidono queste persone? Sono deboli, indifesi, ma anche pericolosi, perché sono un ostacolo all'affermazione di un dominio oscuro».
Tra numerosi pannelli esplicativi con dettagliate cartine geografiche, tra video originali d'epoca (in inglese e in italiano) e teche, chiunque entri in questa nuovo spazio espositivo è chiamato a ricordare che - come scrive Tertulliano - «il sangue dei martiri è un seme che genera nuovi cristiani». Allo stesso tempo, ci si sente rigenerati nello spirito, quando ci si trova di fronte, ad esempio, la fascia del beato Enrique Angelelli Carletti, vescovo di La Rioja, nel nord-ovest dell'Argentina, ucciso da alcuni militari che camuffarono l'omicidio da incidente stradale il 4 agosto 1976, nei pressi di Punta de los Llanos. La sua "colpa", esser schierato dalla parte dei più deboli, dei minatori e manovali agricoli: «Io non posso predicare la rassegnazione. Dio non vuole uomini e donne rassegnati. Quello che vuole Dio sono uomini e donne che lottano pacificamente per la vita, per la libertà, non per finire in una nuova schiavitù». Oppure quando si è di fronte alla casula, rossa, color del martirio, di sant'Óscar Arnulfo Romero, ucciso da uno squadrone della morte a San Salvador il 24 marzo del 1980, durante una celebrazione liturgica. Le sue ultime parole, sollevando l'Eucaristia: «Che questo corpo immolato e questo sangue sacrificato per gli uomini ci alimenti anche per dare il nostro corpo e il nostro sangue alla sofferenza e al dolore, come Cristo».

 


[ Antonio Tarallo ]