Morti in mare, preghiera e ricordo

Nella chiesa dei Santi Bartolomeo e Gaetano si è tenuta una liturgia in memoria dei migranti che hanno perso la vita nel «mare nostrum», tentando di raggiungere l'Europa
Cocina (Sant'Egidio): «Il Mediterraneo è un cimitero senza lapidi, non voltiamoci dall'altra parte»
Si affidano ad imbarcazioni di fortuna e cercano di raggiungere l'altra sponda del Mediteraneo in cerca di quel futuro che le loro terre, l'Afghanistan e la Siria soprattutto, non possono più offrire. Molti di loro perdono la vita in mare. Queste vittime dei naufragi sono state ricordate mercoledì scorso nella Basilica dei Santi Bartolomeo e Gaetano durante un momento di preghiera presieduto da don Massimo Ruggiano, vicario episcopale per la carità.
La preghiera ha coinvolto diverse realtà ecclesiali tra cui i il Centro Missionario Diocesano, il Centro Astalli, l'Ufficio Diocesano Migrantes e la Comunità di Sant'Egidio . «Sono piccoli, scuri, sporchi. - ha esordito don Massimo, dopo la lettura del Vangelo - Questo dicevano i giornali statunitensi degli italiani che nel dopoguerra arrivavano in America. Niente di troppo diverso da quanto noi oggi diciamo delle tante donne e tanti uomini che arrivano nel nostro Paese. Perché l`abbiamo dimenticato? Dovremmo ricordarci da dove veniamo, andrebbe raccontata la memoria. Sono convinto che il racconto di sé che parte da queste esperienze sia il modo più efficace per creare legami reali tra le persone». «Abbiamo sviluppato una vera e propria paura di metterci nei panni degli altri - ha proseguito il sacerdote . Non sappiamo chiederci se il nostro punto di vista è anche quello dell'altro. Durante un viaggio in Argentina mi portarono a conoscere un signore che aveva deciso di ricomprare un terreno per recuperare la flora e la fauna autoctona. Lui mi mostrò un albero che aveva parte della corteccia coperta di muschio. Gli dissi subito che quello doveva essere il nord. Lui mi guardò e con una risata mi disse che era evidente che ero occidentale. Realizzai solo allora che mi trovavo nell'altro emisfero, e che stavo considerando il punto di vista che avevo assunto per tutta la vita come universale, mentre mi trovavo in un luogo che ne adottava uno completamente differente».
«Dobbiamo imparare a cambiare prospettiva - ha esortato - su noi stessi e sul mondo che ci circonda. Oggi facciamo molta fatica ad assumere un punto di vista che non è nostro, quello di chi è disperato, derubato, impoverito. Quello di chi lascia la propria casa senza sicurezze pur di cercare una possibilità di vita migliore». «Per alcuni secoli ha spiegato - c'è stato un monologo nel mondo, il monologo europeo. Per questo oggi facciamo fatica ad accogliere chi ci porta una prospettiva diversa. Ma l'incontro con 
l'altro è ciò che ci fa migliorare. È la relazione con chi è diverso da me ad arricchirmi, non continuare a guardarmi allo specchio. Fra uguali non si cresce, l'incontro, invece, ci arricchisce sempre, in qualsiasi sua forma».
A tentare di raggiungere le coste italiane in questo momento sono soprattutto persone afghane a cui si aggiungono uomini e donne in fuga dalla Siria, colpita dalla guerra e dal terremoto dello scorso mese che ha coinvolto anche la Turchia. «Papa Francesco ha varie volte parlato del Mediterraneo come di un cimitero senza lapidi - ha raccontato Simona Cocina, rappresentante bolognese della Comunità di Sant'Egidio - invitandoci a non voltarci dall'altra parte. Con la preghiera noi abbiamo voluto fare questo, avere memoria di tutti quegli uomini, donne e bambini che fuggivano in cerca di un futuro diverso e purtroppo non ce l'hanno fatta»
 

[ Camilla Raponi ]