"Una Chiesa in uscita"

"Una Chiesa in uscita"

Dossier - La Chiesa che vogliamo
Una "zona grigia" di cui tener conto
Molto spesso le esperienze sinodali nella nostra storia sono state un fatto interno: non negative per lo più, ma sovente irrilevanti o almeno autoreferenziali. Invece, nell'Evangelii gaudium (2013), il manifesto del pontificato di Francesco, si legge: «La Chiesa "in uscita" è la comunità di discepoli missionari che prendono l'iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano.Primerear, prendere l`iniziativa: vogliate scusarmi per questo neologismo».
In dieci anni, si sono contate parecchie resistenze alla "Chiesa in uscita", proposta dal Papa. Vengono spesso dal timore del confronto con il mondo di "fuori", dall'inerzia rassicurante delle istituzioni, dalla malintesa fedeltà al cerchio di coloro che stanno negli ambienti ecclesiali, dalla difficoltà di cambiare e di uscire dai propri quadri mentali. Spesso si è continuato a fare come sempre. In questo quadro, va compreso quel che significa l'idea di una Chiesa di minoranza. Si fa riferimento all`intuizione di Benedetto XVI, quella delle minoranze creative come modello per la Chiesa del XXI secolo.
È un'idea avanzata dal grande storico britannico, Arnold Joseph Toynbee (1889-1975), il quale aveva osservato come, nella storia, tali minoranze hanno avuto la capacità di dare un'impronta alle civiltà. In realtà, i cristiani si trovano in condizione di minoranza per diversi motivi. Ci sono le minoranze cristiane nel mondo di altra religione: islamica, buddista, induista. Ma i cristiani divengono una minoranza anche in Paesi di antica cristianità. Sono storie differenti.
Chiesa di popolo o Chiesa di minoranza? L'ha affermato, il 23 gennaio 2023, il cardinale Matteo Zuppi, ai lavori del Consiglio permanente della Cei: «Questa visione della minoranza creativa è tutt'altro che contraddittoria con quella di Chiesa di popolo di cui è testimone Francesco. Anch'essa è una realtà nel nostro Paese, come manifesta la pietà popolare. Una Chiesa di popolo è una realtà che non pone confini, "dogane" disse all'inizio Francesco: una Chiesa di popolo per il popolo della città».
Il cardinale ha ragione. La Chiesa, almeno quella italiana, ha molti volti, quelli più popolari, come quelli più movimentisti o di minoranza. Infatti il vissuto ecclesiale è una stratificazione complessa, frutto di storie differenti, in cui generazioni, gruppi credenti, pastori, iniziative carismatiche hanno formato una realtà che può sembrare incoerente, ma ha intimi e profondi legami. Una coerenza in cui si legge l'opera dello Spirito e la fede vissuta del popolo di Dio. Del resto bisogna capire meglio la realtà ecclesiale in cui viviamo, di cui non sempre siamo consapevoli. Il Cammino sinodale può essere l`occasione - questa sì davvero storica! - di cogliere nei suoi molteplici volti il popolo cristiano.
Infatti ne abbiamo una visione troppo ristretta, magari solo come quello dei praticanti. Sono decenni che parliamo di scelta missionaria, di evangelizzazione, di nuova evangelizzazione, ma i cristiani sono sempre di meno. Non occorrono inchieste sociologiche o statistiche per rendersi conto che quelli che vanno in chiesa sono sempre di meno. Proprio per questo, perché non crediamo nei numeri o almeno non diamo loro un valore assoluto, ci si deve liberare dall'idea di misurare la pratica e di ridurre il mondo dei cristiani solo ai praticanti.
L'espressione "non praticante", dal canto suo, ha un significato poco positivo e scarsa dignità nel linguaggio della Chiesa. Questa espressione copre una realtà molto grande, non disprezzabile, fatta di percorsi umani e religiosi differenti. Una ricerca promossa da Giuseppe De Rita parla di questa realtà come di una "zona grigia" e aggiunge: «Capire, interrogare e ascoltare la zona grigia significa lavorare su una zona di confine culturale e psichica estremamente difficile e ambigua. E si capisce perché la parte più strutturata della comunità cattolica sia restia a occuparsene, quasi nella paura di avventurarsi in un terreno di sabbie mobili, dove seminare potrebbe risultare inutile».
No a una mentalità da comunità chiusa
È necessaria anche una riflessione teologica su questa "zona grigia". Valérie Le Chevalier, in Credenti non praticanti, ridiscute l'idea delle inchieste sulla pratica religiosa, come capaci di descrivere la realtà della Chiesa, classificando i cristiani a partire dai praticanti domenicali. Ho ritrovato, nel testo di Le Chevalier, alcune questioni che ho posto in La Chiesa brucia. Crisi e futuro del cristianesimo (2021), in cui sono partito dall'incendio di Notre Dame come fatto emblematico della crisi del cattolicesimo europeo.
Molte persone, scrivevo, che non sono militanti né praticanti, sentono il cattolicesimo come loro riferimento esistenziale, religioso, culturale o sociale; oppure è una realtà della loro storia personale, cui non intendono rinunciare. È un fatto di rilievo, di cui tener conto. Il mondo di quelli che, per dirla con Benedetto Croce,"non possono non dirsi cristiani" è vasto e composito e tocca vari ambiti: la religiosità popolare, il valore culturale della Chiesa, la stima per il magistero di Francesco, un'humanitas diffusa, come s'è visto durante il Covid o nell'accoglienza ai rifugiati (specie ucraini), la pratica della solidarietà, l'attenzione ai poveri o ai malati, il desiderio di trasmettere la fede ai figli... Campi molto diversi, ma in tutti si esprime un legame con la fede, la Chiesa, idee e valori cristiani, figure ecclesiali, memoria religiosa, carità o devozione.
L'indebolimento del cattolicesimo strutturato, afferma Christoph Theobald , «rende visibili nuove correnti religiose e spirituali». La riduzione dello spazio presidiato e organizzato dall'istituzione ecclesiastica con la diminuzione dei sacerdoti e l'accorpamento delle parrocchie, non mette in luce solo un deserto religioso fatto di molti abbandoni o di indifferenza, ma tanti altri aspetti da comprendere. Insomma si tratta di operare una rivoluzione di visione rispetto al passato, che ragionava in maniera binaria: dentro o fuori. In questo modo si ponevano frontiere, mentre il problema non sono le frontiere bensì le relazioni con le persone e con gli ambienti.
Ha giustamente detto il cardinale Matteo Zuppi: «Paolo viene raggiunto di notte da una rivelazione divina: "Non aver paura; continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male: in questa città io ho un popolo numeroso" (At 18,9-10).Anche per noi c'è un popolo numeroso nelle nostre città, molto più di quanto misuriamo con categorie spesso vecchie. Lo percepiamo dall'attenzione verso la Chiesa e i suoi ministri».
Forse si tratta di guardare alle nostre città con più fiducia, in mezzo a tutte le loro contraddizioni. Non bisogna vivere una mentalità da comunità chiusa o da movimento che considera solo gli impegnati o gli aderenti. Insomma spesso si viene presi dalla paura di essere un popolo grande, senza confini, estraneo ai quadri del vivere ecclesiale. Il rapporto con questo popolo grande non è un percorso prestabilito. La missione cristiana è un'amicizia umana solida, che tiene aperte le relazioni al di là del risultato. 
 

[ Andrea Riccardi ]