Giro: "Un passo avanti ma non basterà, vanno sviluppate le vie legali di ingresso"

L'esponente di Sant'Egidio: "A chi si rifiuterà di accogliere verranno sottratti i fondi"
La novità di questa intesa è che ora si afferma un principio obbligatorio di solidarietà
«Più che ai pull factor, ai fattori di attrazione, bisogna guardare ai push factor che spingono via dall'Africa i giovani senza più speranze nei loro Paesi». Ne è convinto Mario Giro, politologo, africanista e membro storico della Comunità di Sant'Egidio.
Considera l'ultima intesa raggiunta a Granada «un passo avanti» ma avverte che per cambiare rotta davvero bisogna implementare le vie legali e pensare a nuovi partenariati con i Paesi di origine e transito dei migranti.
Che giudizio dà dell'intesa di Granada?
«Da tempo c'è una spaccatura tra i Paesi europei sulla questione migratoria. La novità però è che si afferma un principio obbligatorio di solidarietà, chi non vuole accettarlo dovrà pagare e anche tanto. L'intesa è dunque un passo in avanti anche parziale, perché la vera soluzione è quella di cercare un partenariato diverso con l'Africa, ma richiede tempo».
Polonia e Ungheria hanno detto di essersi sentite "violentate legalmente". Quanto incide sulla tenuta dell'accordo?
«Questa posizione anti-migranti dei cosiddetti Paesi di Visegrad è ricorrente, attiene a una questione culturale, di mentalità politica, di posizione dei partiti. Per questo credo che bisognerà abituarsi alle decisioni a maggioranza qualificata. Ma il patto è chiaro: se non si decide di accogliere, si dovrà pagare e i fondi verranno sottratti direttamente».
Il nostro Paese ha accusato il governo tedesco di finanziare le ong. Tra i fondi c'erano quelli destinati alla Comunità di Sant'Egidio.
«C'è una differenza di posizioni e sensibilità. Quanto ai fondi per la Comunità di Sant'Egidio sono destinati ai corridoi umanitari, l'Italia dovrebbe esserne contenta perché sono vie di accesso legali. In generale la Germania da sempre è un paese che finanzia tante ong straniere, come fanno i grandi Paesi di cooperazione».
L'obiettivo, dunque, non è destabilizzare l'Italia?
«No, in realtà è un'attività ordinaria nel mondo della cooperazione, da sempre. Le ong in giro per il mondo ricevono finanziamenti anche da altri Stati. In democrazia si fa così e di solito non crea problemi. La contrarietà a ricevere fondi da Paesi esteri è più un'attitudine di stati autoritari. In Italia questa polemica è legata alle ong che operano in mare, perché l'idea è che i Paesi finanziatori dovrebbero anche accogliere le persone salvate. E' un tema di cui si può discutere ma le ong ormai salvano solo il 5% delle persone, quindi mi sembra residuale».
Sant'Egidio è da sempre capofila sui corridoi umanitari, ma l'idea di aumentare le vie legali non trova reale spazio nelle discussioni europee, perché?
«Senza vie legali i giovani scelgono un'altra strada. Ma per disinnescare il fenomeno dell'immigrazione irregolare e abbassare l'allarmismo sociale servono questi canali. Noi abbiamo dimostrato che è possibile e creato un modello».
I numeri però rimangono bassi.
«Certo è un modello che va allargato, dobbiamo moltiplicare i Paesi in Europa disposti a fare corridoi umanitari. Oggi su 150 mila arrivi irregolari ce ne sono 7000 regolari, dobbiamo invertire questa tendenza. Noi ne abbiamo parlato anche con la Commissione Ue ma finora non si è mostrata sensibile».

[ Eleonora Camilli ]