"Salvare, accogliere, integrare"
INTERVISTE

"Salvare, accogliere, integrare"

E' la via proposta dalla Comunità di Sant'Egidio per affrontare il fenomeno delle migrazioni. «La scelta vincente è l'accoglienza diffusa sul territorio, in numeri ridotti», dice la vicepresidente Daniela Pompei
Hanno segnato la cronaca per qualche giorno, i nomi di Ahmed Ali Giama e Jerry Essan Masslo. Per Daniela Pompei sono invece due punti di non ritorno nella sua storia. Il primo, somalo, 35 anni, muore perché gli danno fuoco, a vicolo della Pace, nel centro di Roma, nel 1979. Il secondo, sudafricano, viene ucciso in un raid contro gli immigrati a Castelvolturno, nel 1989.
«Con la vicenda di Ali Giama capimmo che, come Comunità, dovevamo occuparci di immigrazione. Jerry invece era stato ospite per un anno e mezzo nella Tenda di Abramo, la casa di accoglienza che avevamo aperto a Roma. Una settimana prima che lo ammazzassero eravamo andati a trovarlo, sul litorale domizio, dove lavorava per la raccolta di pomodori». Parla al plurale Daniela, perché la sua storia è radicata in quella della Comunità di Sant'Egidio, che ha conosciuto al liceo, a Ostia, dove è nata nel 1959. E per la quale, da oltre 40 anni, si occupa proprio dell'area immigrazione.
Una "vocazione" scritta già nel primo servizio che, liceale, fa con la Comunità: il doposcuola ad Acilia, in quelle che erano definite le "casa del Papa", le abitazioni che Paolo VI aveva voluto per i profughi istriani ospitati nelle baracche alla periferia di Roma.
NON E' UN'EMERGENZA
È proprio a partire dalla sua esperienza che, a chi si ostina a chiamare "emergenza" l'arrivo di migranti e profughi in Italia, Daniela ricorda che ci troviamo di fronte a un fenomeno strutturale, che con la crisi climatica è destinato ad aumentare.
Davanti agli occhi ha i volti e le storie che in questi decenni si sono susseguiti, una vera geopolitica dell'anima: «Gli albanesi, nel 1990-1991, poi i somali, quindi i profughi della ex Jugoslavia, i curdi e gli iracheni; la rivolta dei tunisini a Lampedusa nel 2011, e poi i siriani, i sudanesi, gli ucraini. E sempre, come filo rosso dagli anni `90, la costante di due nazionalità: eritrei e etiopi, che passano per la rotta libica; e gli afghani, che arrivano dalla Turchia».
Daniela è assistente sociale, con laurea e specializzazione in Scienze sociali, e lavora al Consiglio della Regione Lazio. La sua formazione è impastata con il sale del mare di Lampedusa, le attese senza fine per permessi di soggiorno e visti umanitari, lo studio delle leggi europee e di quelle nazionali, i viaggi tra Lampedusa, Lesbo e le varie periferie d'Europa. Un'esperienza nutrita anche dalle collaborazioni con la rete ormai consolidata di realtà dalla Caritas, a Migrantes al Centro Astalli alla Federazione delle Chiese evangeliche (Fcei) - per cercare le strade percorribili e trasformare l'immigrazione in una risorsa, nell'interesse di chi arriva e di chi accoglie. E resa viva dai volti delle persone che in questi anni sono arrivate grazie ai Corridoi umanitari, il progetto pilota realizzato e finanziato con la Fcei, la Tavola Valdese e la Cei-Caritas.
I CORRIDOI UMANITARI
L'obiettivo dei Corridoi, spiega Pompei, è «evitare i viaggi con i barconi; impedire lo sfruttamento da parte dei trafficanti di uomini che fanno affari con chi fugge dalle guerre; concedere a persone in "condizioni di vulnerabilità" - ad esempio, oltre a vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, anziani, malati, persone con disabilità - un ingresso legale sul territorio italiano con visto umanitario e la possibilità di presentare successivamente domanda di asilo».
Arrivati in Italia, i profughi sono accolti a spese delle associazioni in strutture o case. «Insegniamo l'italiano, iscriviamo a scuola i bambini, per favorire l'integrazione nel nostro Paese e aiutarli a cercare un lavoro. La scelta vincente è l'accoglienza diffusa, l'inserimento sul territorio in numeri ridotti. Abbiamo sperimentato che le piccole comunità si ricompattano nell'accoglienza dei rifugiati. E alcuni Comuni spopolati ci stanno chiedendo di inviare famiglie, offrono case e lavoro, per ripopolare borghi e paesi».
Dal febbraio 2016 a oggi con i Corridoi umanitari sono già arrivate 6.288 persone, per lo più siriani in fuga dalla guerra e rifugiati dal Corno d'Africa. I Corridoi sono solo una goccia nel mare del bisogno, un segno che però qualcosa si può fare. Anche più in grande. E "salvare, accogliere, integrare" sono le parole d'ordine delle proposte legislative che Sant'Egidio ha presentato il 5 settembre. Si va da un maggiore coinvolgimento dell'Europa nei salvataggi in mare, alla promozione dell'affidamento familiare, a un percorso formativo per i minori non accompagnati, al riconoscimento dell'equipollenza dei titoli di studio.
LA PREGHIERA PER LE VITTIME
«Molti dei migranti che arrivano sul nostro territorio hanno titoli di studio e potrebbero andare a coprire i tanti buchi nel panorama sanitario, per esempio, del nostro Paese. Ma hanno difficoltà a farseli riconoscere. Inoltre tanti minori non accompagnati, che si sono formati in questi anni qui da noi in Italia, una volta ottenuto il titolo di studio cercano lavoro altrove. È un potenziale che non dobbiamo lasciarci scappare, anche nell'interesse del nostro Paese, sempre più anziano».
Mentre parliamo, Daniela cura gli ultimi preparativi per la veglia per i 368 morti nel naufragio del 3 ottobre 2013 davanti alle coste di Lampedusa. Nel decennale della tragedia, la preghiera si tiene nella basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma, sede storica della comunità. È qui che ogni anno, nella Giornata del rifugiato, arrivano persone da tutta Roma per la preghiera Morire di speranza, che ricorda tutte le vittime che durante il viaggio non ce l'hanno fatta.
Sulla cartolina che viene data ai partecipanti alla veglia, bambini, mamme sorridenti, volti di uomini e donne sono tasselli di un dolente mosaico: «In questi anni, con l'aiuto dei sopravvissuti, siamo riusciti a ricostruire l'elenco delle vittime del naufragio del 3 ottobre 2013», dice Daniela. In chiesa pregano i migranti dei corridoi umanitari, tornano i sopravvissuti che hanno raggiunto altri Paesi europei, i volontari e gli amici della comunità, le associazioni di volontariato e le ong.
Dopo tanti anni di lavoro in questo campo, c'è da chiedersi se non subentri un po' di stanchezza. «Vengo dalla periferia di Roma e ho conosciuto il mondo», risponde Daniela, «la dimensione universale della bellezza attraverso il racconto e l'incontro con tante persone. No, non sono stanca, sono contenta: la passione per queste persone escluse mi incoraggia a non arrendermi». •
L'evento Migranti, oltre i muri. A dieci anni dalla strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013 (una delle più grandi tragedie del Mediterraneo, in cui morirono 368 persone e i dispersi stimati furono 20) Famiglia Cristiana e l'Associazione Don Giuseppe Zilli hanno organizzato il convegno Migranti, oltre i muri. Le nuove frontiere dell'accoglienza. L'evento si è svolto il 7 ottobre proprio a Lampedusa. Fra gli altri, è intervenuto monsignor Alexis Leproux, vicario episcopale per le relazioni del Mediterraneo dell'arcidiocesi di Marsiglia, che ha ricordato: «Il Papa ci chiede di versare lacrime e dare una voce a chi non ha voce. Dobbiamo costruire una famiglia del Mediterraneo, dove tutti sono incaricati di costruire l'accoglienza».

[ Vittoria Prisciandaro ]