A Leopoli, dove si prova a costruire la pace

A Leopoli, dove si prova a costruire la pace

Guerra in Ucraina
Nella città a 70 chilometri dalla Polonia i volontari della Comunità di Sant'Egidio si prendono cura dei profughi, cercando di alleviare le ferite della guerra: «Aiutiamo come possibile, sapendo che in ogni famiglia c'è una sofferenza»
Il giorno dei pacchi è speciale, nella sede della Comunità di Sant'Egidio a Leopoli: è il giorno in cui si ricevono le persone rifugiate, giunte dalle zone occupate nel sud e nell'est dell'Ucraina, e si consegnano loro gli aiuti per vivere. Una tuta comoda, biscotti, un flacone di shampoo: importa il cosa, ma anche il come. E i volontari della Comunità, molti dei quali sono essi stessi rifugiati giunti dalle città bombardate, ricevono le persone davanti a una scrivania con un computer sul quale prendono nota delle richieste particolari, per poterle esaudire a una visita successiva. Sorridono, fanno qualche battuta: il clima è leggero, accogliente.
I volontari e le volontarie, circa una ventina, assolvono le richieste date precedentemente dal coordinatore in una veloce riunione: «Queste persone devono sentire onore, rispetto, fiducia; dovete comunicare che capite la loro situazione».
I più vulnerabili
In una città che la distanza dal fronte non salva dalle ferite più profonde della guerra, la sede di Sant'Egidio, aperta da marzo 2022 e attiva in Ucraina assieme a quelle di Kiev e IvanoFrankivs`k, è un punto di riferimento: qui, tra le pareti di legno, in una grande cucina, qualcuno è sempre pronto a preparare un caffè con la moka, da assaporare sotto una stampa della facciata di Santa Maria in Trastevere. E, oltre al caffè, si trova qualcosa di molto salutare, per tutti: il calore.
Il "giorno dei pacchi" non è l'unica attività della sede di Sant'Egidio a Leopoli, che funge da centro di coordinamento dell'azione umanitaria in tutta l'Ucraina. Guidati dal direttore, Yuriy Lifanse, gli operatori e le operatrici gestiscono gli aiuti, giunti attraverso donazioni, inviandoli poi prevalentemente nelle zone di Kiev, Sumy, Dnipropetrovsk e Mikolaiv; organizzano la preghiera per la pace, che ogni martedì si tiene nella chiesa greco-cattolica della Guarnigione, nonché la Scuola della Pace per i piccoli, che ha luogo invece la domenica a mezzogiorno. Inoltre, ogni venerdì, giovani di Sant'Egidio prestano servizio con gli anziani alloggiati nella città modulare del Comune alla periferia di Leopoli: qui, nei container, abitano gli ultimi, i più poveri. E gli anziani, in particolare, come spiegano alla Comunità, insieme ai bambini sono i più esposti ai danni della guerra.
Il desiderio di tranquillità
«A Leopoli vivono oggi circa 250 mila rifugiati», dice Lifanse. «Lo Stato fornisce una certa quantità di alloggi, ma una gran parte di queste persone è
costretta ad affittare un appartamento a prezzi spesso alti». Leopoli, infatti, per la sua distanza dal fronte, pur non essendo immune da allarmi e bombardamenti - l'ultimo lancio di missili russi è avvenuto a settembre continua ad attirare un turismo interno che, fra i palazzi antichi, vorrebbe trovare relax. Ma per altri questo vuol dire povertà; le difficoltà sono soprattutto per le persone anziane, spesso alloggiate in palazzi di molti piani senza ascensore, che «si sentono sradicate» aggiunge Lifanse: «Nate e cresciute nella steppa o davanti al mare, si ritrovano in una città di pietra, dove piove continuamente, sapendo di non poter rientrare a casa».
Tornare a vivere
Alla Comunità di Sant'Egidio si incontrano persone come Galina, geologa in pensione, che arriva da Bakhmut e che ha vissuto un mese sotto le bombe in un palazzo abbandonato da tutti i suoi abitanti: «Stavo tutto il giorno in un corridoio, tra due muri, con le orecchie tappate», racconta. «Non avevo il coraggio di andarmene. Poi, un giorno, un'organizzazione religiosa mi ha convinta: in mezz'ora di tempo ho dovuto prendere cibo e documenti. Solo all'ultimo mi sono ricordata del computer». Riprende: «Nei primi quattro mesi vissuti qui a Leopoli ero terrorizzata, non volevo uscire di casa. Per fortuna alla fine sono riuscita, con il computer, a trovare Sant'Egidio: devo tutto a queste persone, mi hanno dato la vita. E ora vogliamo fare qualcosa di buono per gli altri».
La domenica a mezzogiorno le sale di Kopernika Ulica sono invase dei piccoli allievi della Scuola della Pace: nato a Roma nel 1968, il progetto si è diffuso in tutto il mondo. «I bambini ucraini, soprattutto i profughi, sono traumatizzati: molti di loro hanno il padre al fronte, giocano alla guerra e la didattica on line li ha isolati. C'è voluto quasi un anno per farli ballare e giocare assieme», racconta la responsabile Olga Makar. C'è, poi, la questione della lingua: «Quasi tutti sono bilingue, ma chi arriva dalle zone di guerra è in genere di lingua russa. Noi li aiutiamo a fare i compiti, a superare le loro grandi difficoltà di concentrazione: mezz'ora di studio è già una vittoria».
"Insegnare" la pace
Il gioco è altrettanto importante: un girotondo in musica, con i bambini che cantano e si danno la mano, che altrove può sembrare normale, qui è una conquista. «Dobbiamo insegnare il valore della pace», concorda Ivana Synytska. «Cerchiamo di aiutare la società, sapendo bene che in ogni famiglia c'è una sofferenza. Ogni gesto ha importanza».
«Non so cosa sarà la pace, Dio lo sa», conclude il direttore Lifanse. «Il nostro compito è costruire le case dove le persone possono recuperarla. Lo facciamo dando una mano agli altri: perché aiutare gli altri prende lo spazio dell'odio». 
 
 

[ Elena Nieddu ]