Vivere insieme in Terra Santa si può

Una «testimonianza-preghiera in musica» che è possibile «vivere insieme in una terra martoriata», ebrei, musulmani e cristiani. E non c'è «miglior comunicazione della testimonianza». Un ascoltare insieme «qualcosa di bello, fatto insieme, che è un contributo a salvare le luci» di un Paese diviso, Israele e la Palestina, in una guerra «che ha approfondito ancora di più le divisioni», e un «invocare un atto di speranza, un nuovo cessate-il-fuoco, che fermerà morti e distruzioni».
Voci tra le musiche del concerto Note di pace della scuola “Magnificat” di Gerusalemme, organizzato nel pomeriggio di giovedì 7 dicembre (a due mesi dallo scoppio della guerra in Terra Santa) dal Dicastero per la comunicazione e dalla Pontificia accademia per la vita, con la collaborazione della Comunità di Sant'Egidio, nella basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma. Voci del prefetto del dicastero, Paolo Ruffini, del cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini, e di padre Gabriele Romanelli, parroco della chiesa latina della Sacra Famiglia a Gaza. La scuola, gestita dalla Custodia di Terra Santa e diretta da fra Alberto Joan Pari, ha 220 studenti cristiani, musulmani ed ebrei, guidati da docenti per la maggior parte ebrei, e costituisce perciò proficua occasione di confronto e di dialogo.
Il concerto si è aperto con la lettura del salmo 122, dedicato alla città di Gerusalemme e guidato da Andrea Monda, direttore de «L'Osservatore Romano», ed è terminato con la recita del Magnificat . Il primo saluto è arrivato via video dalla Terra Santa dal patriarca Pizzaballa, che ha ricordato come il nuovo conflitto in Medio Oriente abbia amplificato «i sentimenti di lontananza, di inimicizia tra israeliani e palestinesi in maniera molto profonda. È molto difficile parlare l'uno all'altro, non ci si ascolta». Nella notte di questo momento, non mancano però le luci, «persone, istituzioni, movimenti e associazioni che cercano di non seguire la linea dello scontro ma, nonostante le grandi difficoltà, di fare qualcosa di bello». E la musica «è un modo semplice, bello, concreto di fare qualcosa insieme».
Dopo il primo brano introdotto dal direttore della scuola (un Ave Maria nei vespri della solennità dell'Immacolata), il prefetto del Dicastero per la comunicazione ha ringraziato le sette studentesse presenti, con i due frati che le hanno accompagnate, «perché siete una luce. Stiamo camminando in una valle oscura. E la vostra testimonianza, il vostro canto, il vostro cantare insieme è una luce. È un canto nuovo. È un preparare nel deserto la via della pace». Ruffini ha sottolineato il valore del silenzio e delle pause, «senza le quali non ci sarebbe musica, non ci sarebbe dialogo, nel frastuono delle armi, delle parole, dei pensieri confusi. Dio parla anche nelle pause. Il vostro canto disperde i superbi nel pensiero del loro cuore e ci ricorda l'importanza dell'unità».
Il concerto è proseguito con un brano per due violini di Bach e il contributo di Ilaria Della Bidia, soprano pop, accompagnata dal maestro Attilio Di Giovanni, con un canto ebraico, uno arabo e Dolce è sentire ispirato a san Francesco. Dopo il Panis angelicum , l'ultimo canto dal salmo 18, I cieli immensi cantano di Benedetto Marcello. In prima fila anche il cardinale Fernando Filoni, gran maestro dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Si sono alternati ai brani del concerto altri saluti, come quello dell'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, che ha ricordato come la basilica di Santa Maria in Trastevere «è il primo luogo di culto qui a Roma tutto dedicata a Maria. Ci uniamo al sogno di un gruppo di ragazzi per cantare il Magnificat alla pace e all'incontro».
Quindi la testimonianza di Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio, che ha sottolineato come «abbiamo bisogno di segni di pace, di riconciliazione e di futuro, nell'oscurità della guerra e del terrorismo. Il segno della vostra amicizia, della vostra collaborazione, ci colpisce e ci dà speranza».
Da Gerusalemme, dove si trovava quando è scoppiato il conflitto, il parroco della chiesa latina della Sacra Famiglia a Gaza, padre Gabriele Romanelli, in un video, ha lamentato che nella Striscia la situazione è gravissima, ora che la tregua si è interrotta. «Bisogna veramente fermare questa guerra e chiedere un cessate il fuoco», ha detto: «Non è solo un atto di giustizia, è un atto di speranza, che diminuirà i numeri di morti, feriti e distruzioni». Ha chiesto che tutti possano «piangere i propri morti, curare i feriti, e che l'aiuto umanitario arrivi non soltanto al sud della Striscia ma al nord, dove ancora ci sono centinaia di migliaia di persone», e che «quelli che sono privati della libertà vengano rilasciati e restituiti ai loro familiari».
A Trastevere c'era invece padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, che ha ricordato come sia la prima volta, da trentacinque anni, che in periodo natalizio lascia la Terra Santa. Ha chiesto di pregare anche per Betlemme, «che è chiusa completamente, come una prigione a cielo aperto, e tutti sono senza lavoro, perché vivono di turismo. La basilica è vuota, non c'è la solita fila per entrare. Gli abitanti di Betlemme, già senza lavoro per due anni per il covid, sono di nuovo senza sostentamento».
Il direttore della scuola “Magnificat”, fra Alberto Joan Pari, ci ha invece spiegato l'importanza del messaggio arrivato dal concerto, ovvero che «è possibile vivere insieme in una terra martoriata. Infatti la scuola è formata da studenti e professori che vengono da diversi background sia culturali sia religiosi: cristiani, musulmani ed ebrei». Nonostante lo shock per la guerra, e le conseguenti enormi limitazioni, la “Magnificat” «ha continuato perché abbiamo pensato che fosse la cosa migliore che questi ragazzi avessero un po' di bellezza nelle loro giornate sconvolte. Tutti sentivano il bisogno di confrontarsi e di parlare di quello che stavano vivendo. Pur non volendo, la scuola è un laboratorio di coesistenza pacifica e, anche se non è nata per fare dialogo interreligioso, di fatto lo fa e lo vive». 

 

[ Alessandro Di Bussolo ]