Quattrocento in marcia a Novara. "Continuiamo a sognare la pace"

Quattrocento in marcia a Novara. "Continuiamo a sognare la pace"

Il tradizionale appuntamento del primo giorno dell'anno
La manifestazione della Comunità di Sant'Egidio con le testimonianze di chi è fuggito dalle guerre
«Ascoltare le voci di  questi ragazzi, che pregano per la fine delle guerre dopo averle vissute sulla propria pelle, significa compiere già un primo passo verso la pace». Daniela Sironi, referente della Comunità Sant'Egidio per il Piemonte, parla nel cortile del castello di Novara al termine della tradizionale «marcia di pace» partita da piazza Cavour. Si rivolge alle 400 persone presenti, che reggono cartelli coi nomi delle nazioni in conflitto nel mondo. E dedica la manifestazione ai giovanissimi. Quelli che sono riusciti a scappare dalla povertà e dalla violenza grazie ai corridoi umanitari. Quelli meno fortunati, che
devono lottare ogni giorno per sopravvivere.
Il ventunenne marocchino Yassine Benami, prima di arrivare a Novara, era tra questi ultimi. Sul palco allestito nel cortile del castello, sistemandosi gli occhiali da vista, racconta di essersi «trasferito in Libia con mia madre per cercare una vita migliore, arrivando però come clandestini». Ha fatto i mestieri più disparati, cominciando come carrozziere a soli 13 anni e finendo quasi schiavizzato in un campo lavoro. Per due volte ha visto la morte in faccia:
«Ho provato a scattare una foto a un paesaggio e da lontano hanno cominciato a sparare e colpito una persona con cui un attimo prima stavo parlando. Io mi sono salvato buttandomi a terra. Un'altra volta, invece, dal nulla hanno lanciato una granata a pochi passi da noi. Siamo rimasti immobili e impauriti
per cinque minuti. Per fortuna non è esplosa e io sono ancora vivo».
Bernardo Staga, diciottenne albanese, descrive il suo viaggio della speranza: «Ho messo da parte tutti i soldi che avevo guadagnato per arrivare in Italia. Ho attraversato il Kosovo, la Serbia, l'Ungheria e la Slovenia a bordo di un pullman. L'autista conosceva i doganieri, ma alcuni di noi non hanno superato lo stesso diversi controlli». Oggi è un volontario della Comunità Sant'Egidio e da settembre «ho iniziato un corso di operatore grafico intermediale all'Einaip di Novara, lavorando nel pomeriggio per mantenermi».
Da lontano arriva anche Hammad Ali, ventenne pakistano arrivato a Novara 8 anni fa. «Sono diventato amico di tanti anziani nella casa di riposo «Simeone e Anna» e sto lavorando in uno studio tecnico dopo aver preso il diploma di geometra. Qui sto realizzando i miei sogni». Come Hammad e Bernardo, anche l'ucraina Svitlana Schevchenko ringrazia la comunità «per aver ricevuto un trapianto di rene che mi ha salvato la vita». Lei è arrivata da Kiev due anni fa, pochi giorni dopo l'invasione russa. Una guerra che insieme a quella tra Israele e Palestina sta facendo tremare il mondo e che sta causando migliaia di vittime, specialmente civili.
È ai morti di tutti i conflitti che la Comunità Sant'Egidio rivolge un saluto, una preghiera con l'adagio di Albinoni in sottofondo e un minuto di silenzio. «Abbiamo sfilato mostrando i nomi dei paesi che ancora non vivono in armonia - dice Sironi - e ascoltato le testimonianze di ragazzi che hanno saputo guardare avanti, mai vinti dalla sofferenza e dalla paura. Che con le loro azioni, le loro voci e i loro occhi possono aiutarci a promuovere la pace». Non soltanto il primo gennaio, conclude Sironi: «Continuiamo a camminare insieme, celebrare la vita e la libertà ogni giorno, aiutarci gli uni con gli altri». - 
 

[ Lorenzo Rotella ]