«Ecco perché Francesco vuole che i poveri possano lavare i vestiti»

«Ecco perché Francesco vuole che i poveri possano lavare i vestiti»

L'intervista a Benedetta Ferone
La direttrice dei servizi ai senza fissa dimora della Comunità di Sant'Egidio. Oggi c'è da far fronte ai disagi delle famiglie sfrattate, i servizi aumentano ma non bastano.
«Un luogo dove i poveri troveranno un senso di cura». La descrive così Benedetta Ferone, responsabile del servizio ai senza dimora della Comunità di Sant'Egidio, la "Lavanderia di Papa Francesco" che sarà inaugurata domani nella Casa dell'Amicizia di Napoli. Un luogo di accoglienza in via San Biagio dei Librai, pensato per offrire servizi e spazi a chi vive in strada.
Come nasce quest'iniziativa?
«Dall`incontro con i poveri e dall'ascolto delle loro esigenze concrete. Non poter lavare i propri vestiti, per chi vive in strada, è una grossa difficoltà. Con la Casa dell'Amicizia offriremo un luogo dove sentirsi curati e questo grazie a Papa Francesco che, con Haier Europa, ha sponsorizzato la lavanderia, acquistando lavatrici e asciugatrici e dandoci la possibilità di mettere in piedi uno spazio di accoglienza attraverso un'azione di pacificazione della città».
In che senso?
«Napoli è una città complessa e violenta che va pacificata dando una vita più giusta ai poveri, altrimenti sarà sempre più feroce e incattivita, d'altronde il benessere non esiste se è solo di alcuni».
Quel è il valore di questo processo?
«Ridare speranza. Papa Francesco ci ha detto che il nostro servizio è un abbraccio nel quale si confonde chi aiuta e chi è aiutato, un'azione che ristabilisce l'umanità. Con la Lavanderia vogliamo dare un luogo fisico in cui chiedere aiuto e rinascere. Ad oggi più di 300 persone tra quelle che abbiamo accolto hanno lasciato la strada, ritrovando le famiglie, le case, il lavoro. Vogliamo promuovere un nuovo modo di guardare ai poveri anche a Napoli».
Quale?
«In città sono ancora troppi gli invisibili. Penso a Karim, il 32enne senza fissa dimora morto la notte di capodanno nel colonnato di piazza Plebiscito, un luogo così centrale e così nascosto, dove regna l'abbandono. Queste tragedie ci danno il senso di tutte quelle vite spezzate dalla mancanza di speranza».
Come è cambiata la povertà a Napoli?
«È cresciuta e anche se i servizi aumentano non bastano. C'è l`esigenza di far fronte alla nuova povertà, quella delle famiglie che vengono sfrattate e finiscono in strada. A Napoli non esistono strutture che accolgono nuclei familiari e i bambini vengono separati dai genitori. Bisogna ripensare i servizi, chi oggi viene sfrattato deve avere la possibilità di trovare una casa a prezzi accessibili. Riceviamo tutti i giorni richieste di aiuto e proviamo a dare una risposta».
Come?
«Ora ospitiamo una famiglia con un 15enne. I genitori sono disperati, vivono a Napoli da 30 anni e non riconoscono più la città che un tempo li ha accolti e li ha resi parte di una comunità e che oggi, invece, li butta via».
Cosa fare?
«Unire le forze pubbliche e private. La Comunità di Sant'Egidio a Roma ha avviato iniziative di cohousing per persone che riescono contribuire alle spese di casa ma non possono permettersi il fitto. Sono esperienze replicabili senza grandi problemi anche a Napoli, basterebbe metterci un po' di tempo, passione e creatività».
Il Comune cosa fa?
«Inutile criticare le istituzioni, fanno quello che possono. Però bisogna trovare nuove risorse e avere la capacità di collaborare».
C'è una storia di rinascita che può raccontarci?
«Un anno fa abbiamo accolto Antonio (nome di fantasia), un 61enne senza fissa dimora con problemi di dipendenza da alcol. Quando ha accettato un percorso al Sert, Antonio in un mese ha smesso di bere ed è rinato. Oggi ha ripreso a fare il cuoco, cucina per le nostre cene itineranti, ha ritrovato suo figlio e le nipoti. Quando ad agosto abbiamo festeggiato il suo compleanno mi ha detto: "qui ho trovato il mio posto"».
Una storia di successo?
«Ce ne sono tante, ma sono percorsi difficili. Quello che bisogna capire è che non c'è nulla di cui vergognarsi o per cui si verrà giudicati, non bisogna scappare o isolarsi, basta un rapporto di amicizia sincero, quello che è mancato a Karim, morto in solitudine mentre andava in scena il concertone di fine anno». 
 

[ Claudio Mazzone ]