Corridoi umanitari. Dopo l'ingresso la sfida è quella dell'integrazione

Corridoi umanitari. Dopo l'ingresso la sfida è quella dell'integrazione

Accoglienza dei migranti
Daniela Pompei (Comunità di Sant'Egidio): «Come cristiani ribadiamo che le persone nel pericolo vanno soccorse e basta, non si possono fare azioni di deterrenza»

I corridoi umanitari con le loro potenzialità e criticità. Su questo tema si è tenuto I'incontro tra le commissioni regionali di Missio, Caritas e Migrantes Toscana, sabato 20 gennaio, presso la Casa della Carità di Firenze, con lo scopo di affrontare «temi che poi abbiano ricadute concrete nelle singole diocesi» spiega il cardinale Augusto Paolo Lojudice, vescovo delegato Cei per le Migrazioni. Con lui presente anche monsignor Mario Vaccari, vescovo delegato Cei per il servizio alla carità.
Per introdurre l'incontro, Vaccari ha messo in evidenza le due cornici entro le quali si sarebbe racchiuso: la pastorale integrata da una parte, con un incontro che crea comunità, e la missione della Chiesa dall'altra. La parola è passata poi al primo relatore, Oliviero Forti, responsabile dell'ufficio Politiche migratorie e protezione internazionale di Caritas Italiana. I corridoi umanitari, spiega, nascono dalla consapevolezza del fatto che la possibilità di entrare in Europa in modo regolare e sicuro era sempre più remota e sempre più spesso la reazione degli stati membri agli eventi che scuotono il panorama internazionale, causando un flusso migratorio, è di chiusura, anche con la costruzione di barriere fisiche. «Di muri - dice Forti - pensavamo non ce ne sarebbero più stati dopo il crollo di quello di Berlino». E, aggiunge, realtà si sono chieste se ci fosse un modo di far entrare persone in modo regolare e sicuro in Europa e così con il sostegno dei vari governi che si sono succeduti, di colori tra loro differenti, è stato avviato il progetto dei corridoi umanitari. è poi chiaro che il blocco rispetto alla questione degli ingressi di migranti e rifugiati è soprattutto l'assenza di volontà non solo in politica ma soprattutto nell'opinione pubblica, e a dimostrazione di ciò Forti ricorda come la Turchia ospiti il più alto numero di rifugiati siriani al mondo (quasi quattro milioni) mentre il Niger, secondo paese più povero al mondo dà comunque ospitalità e assistenza a persone in transito versi altri stati. «Attenzione a giudicare, sono paesi difficili, non sempre stabili politicamente, ma che, nel caso della Turchia, stanno accogliendo e seguendo quattro milioni di persone, che chiaramente non hanno un futuro in quel paese, quando noi ci allarmiamo per centomila sbarchi».
Attualmente parte del lavoro è anche in Pakistan, per creare corridoi umanitari per i cittadini afghani, in particolare di etnia Hazara, che subiscono una doppia discriminazione sia dai loro stessi connazionali sia dai cittadini del paese ospitante, finendo per diventare «rifugiati di serie B». Il responsabile Caritas ha chiuso il suo intervento con queste parole «la società civile non è non più attrezzata per immaginare una società dove può esserci per alcuni bisogno di protezione. Per questa ragione per noi associazioni l'attività umanitaria si deve concretizzare prima di tutto in una responsabilità culturale. Spesso la TV e il dibattito pubblico ci fanno dimenticare che quello che vivono i rifugiati lo potremmo vivere noi da un momento all`altro, come invece ci ricorda la storia più recente Intorno a un rifugiato ci sono molte persone, è un moltiplicatore dell`esperienza di comunità e chiesa. In "lavori" come il nostro le difficoltà sono sempre dietro l'angolo ma si cresce insieme, accompagnati nel processo da riferimenti certi come territorio e comunità su cui continuiamo a investire».
Parte invece dalla tragedia di Lampedusa di dieci anni fa l'intervento di Daniela Pompei, responsabile della Comunità di Sant'Egidio per i servizi agli immigrati. L'evento tragico dal quale nacque «Mare Nostrum» in un clima nel quale Europa e Italia sembravano pronte ad un cambiamento. Ma in questi dieci anni poco è cambiato e sono aumentate guerre e tragedie. Ricorda che dal 2014 il numero di morti e dispersi è di 45.000 persone e aggiunge «sappiamo bene che i morti sono dispersi e che in questo numero mancano coloro che muoiono nel deserto, durante il viaggio. Come cristiani ribadiamo che le persone nel pericolo vanno soccorse e basta, non si possono fare azioni di deterrenza. Ai corridoi umanitari, nel giorno del 3 ottobre dobbiamo anche le ragioni profonde dell'impegno di Sant'Egidio e altre associazioni, che collaborando hanno contribuito a far arrivare in Italia 6700 persone».
Ma come si organizzano i corridoi? Migrantes, Missio, Caritas con l'aiuto di Sant'Egidio hanno inizialmente pensato a delle modalità di ingresso che non toccassero la legge europea visto il clima di chiusura; lo studio approfondito della legge ha portato alla scoperta dell'art.25 del Regolamento visti (CE 810/2009), di cui hanno ampliato l'interpretazione. Negli anni poi si sono aggiunte altre realtà oltre a quelle cattoliche, come Arci. Oggi ci sono corridoi in Francia, Belgio, Andorra, San Marino ma anche in Libano, Etiopia, Libia (con la quale hanno appena sottoscritto un protocollo per 1500 persone), Pakistan, Iran, Niger, Giordania, Turchia e Ucraina (si aggiungono Cipro e Grecia, dove i corridoi sono gestiti da Sant'Egidio).
Nasce da lì una via sicura e vengono rilasciati i titoli di viaggio o i visti al «popolo dei corridoi» fatto di: afghani, siriani, eritrei, congolesi, nigeriani, camerunesi, sudanesi, somali, yemeniti, iracheni, palestinesi, togolesi e ugandesi. Una volta creata la via d'ingresso la sfida più grande è quella dell'integrazione, che nonostante le difficoltà, dà grandi soddisfazioni anche grazie all'aiuto dei primi profughi accolti, che adesso si propongono come mediatori per aiutare coloro che stanno arrivando, prepararli al paese che li aspetta ma con il vantaggio di condividere con loro lingua e cultura.
«L'accoglienza non si fa da soli, ritrovarsi come comunità è il dono inatteso dell'accoglienza» dice Pompei «molti si uniscono lungo la strada attratti dai primi; l'accoglienza restituisce l'anima a chi la pratica e al Paese» e prosegue «è importante ribadire che i corridoi sono resi possibili da gente comune, non esperti o specialisti, ma persone che si commuovono della sofferenza degli altri, che considerano inaccettabile per il loro senso di umanità il loro pericolo. I corridoi hanno cambiato realtà e politica con le ragioni del cuore e della pastorale, dimostrando a tutti coloro che lo credevano impossibile che invece non lo è».
 


[ Fiamma Andrei ]