Come una bambina al Binario 21. Segre: quel crimine fu anche italiano

Come una bambina al Binario 21. Segre: quel crimine fu anche italiano

L'anniversarioA ottant'anni dalla partenza per Auschwitz, il ritorno alla Stazione Centrale. «Al "male assoluto" non si arriva in un giorno soltanto», ha ammonito. «Non mi devo discolpare per ciò che fa Israele»

La bambina novantenne ricorda tutto come fosse appena accaduto. Eppure sono già passati ottant'anni, da quel 30 gennaio 1944, quando una Liliana Segre tredicenne fu spinta, con l'intera famiglia, sul vagone merci del treno in partenza dal binario 21, destinazione Auschwitz. Dall'abisso è tornata da sola e da 28 anni, ogni 30 gennaio, viene qui, alla stazione Centrale di Milano, da dove ebbe inizio il viaggio verso l'orrore.
Un pellegrinaggio del dolore e della memoria avviato nel 1997 con la Comunità di Sant'Egidio e la Comunità ebraica milanese, da cui è nata l'idea del Memoriale della Shoah, visitato l'anno scorso da 145mila persone, tra cui 65mila studenti. Ciascuno dei quali è chiamato a diventare un mattone della costruzione della Memoria che dovrà continuare anche quando i testimoni diretti non ci saranno più.
Un auspicio che, quest'anno in modo particolare, è più difficile da formulare. Perché dal 7 ottobre tanto se non tutto è cambiato. E ha reso ancor più faticoso, per la senatrice a vita, ritornare su quel binario. L'ha fatto, ancora una volta, ieri sera. E, come ottant'anni fa, è stato «doloroso». Anzi, «più doloroso» per il contesto, internazionale ma anche italiano, in cui si inserisce. Con gli ebrei nuovamente sul banco degli imputati. «Lo scorso 27 gennaio sono successe cose che mi hanno lasciato sgomenta - ha detto la senatrice Segre -. Io non penso proprio di dover rispondere, di dovermi discolpare, in quanto ebrea di quello che fa lo Stato di Israele. Trovo sbagliato - ha aggiunto - mescolare cose completamente diverse, come hanno fatto tanti che hanno pensato dimettere in discussione il Giorno della Memoria per quello che sta succedendo a Gaza. Evidentemente hanno un bisogno spasmodico di fare pari e patta con la Shoah - ha aggiunto - di togliere agli ebrei il ruolo di vittime per antonomasia, di liberarsi da un inconscio complesso di colpa».
Con il solito stile pacato ma deciso, la senatrice Segre ha poi impartito una lezione di storia a chi (e non sono pochi, visto che si sta parlando del 16% degli italiani), ancora oggi pensa che la Shoah, con il suo carico di morte, non sia mai esistita. Un vero e proprio «fallimento educativo», è stato l'allarme lanciato da Liliana Segre. «In questi più di 20 anni dall'approvazione della legge - ha aggiunto - sembra che qualcuno abbia scambiato il Giorno della Memoria per una specie di regalo fatto agli ebrei, da revocare se gli ebrei si comportano male. Ma allora siamo davanti ad una catastrofe culturale». Un pericolo da scongiurare attraverso la cultura e, soprattutto, «la lettura». «Il 27 gennaio non è fatto per gli ebrei - ha ricordato Segre -. Gli ebrei hanno 365 giorni della memoria all'anno. A loro non serve il 27 gennaio. Ma è necessario per ricordare agli europei un crimine europeo, e agli italiani un crimine anche italiano». Che ha un'origine ben precisa e dei responsabili assolutamente riconoscibili per nome e cognome. «Condannare il "male assoluto" senza condannare la catena che lo ha reso possibile non avrebbe senso - ha scandito la sopravvissuta alla Shoah. Dato che si è giustamente parlato di "male assoluto", penso che occorra riflettere sul fatto che non si arriva così un giorno, per caso, a un "assoluto" - ha ricordato -. Ci si arriva attraverso un lungo percorso, nel quale ogni passaggio è funzionale a rendere possibile, a rendere accettato, a rendere addirittura condiviso da molti quel male».
La partenza del convoglio del 30 gennaio 1944 «è, in altri termini, un punto di arrivo. Perché si può giungere a questo solo se, guardando a ritroso, si sono percorse tutte le tappe precedenti - ha proseguito la senatrice a vita -. La partecipazione alla guerra al fianco di Hitler. E prima la campagna razziale e le leggi razziste, prima l'avventura coloniale per sottomettere popoli giudicati inferiori. E prima l'abolizione di ogni spirito critico attraverso la propaganda di regime. E prima l`abolizione della libertà della stampa, l'abolizione dei partiti, l'eliminazione di ogni opposizione - ha concluso - l'instaurazione di un potere assoluto senza né controlli né bilanciamenti».
Un regime che a Liliana Segre ha portato via il padre e la giovinezza, come ha ricordato il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, Andrea Riccardi, che ha parlato anch'egli di «orrenda complicità italiana» nello sterminio del popolo ebraico. Una nerissima pagina di storia scritta con la connivenza dei tanti che si sono voltati dall'altra parte, professando «la religione dell'indifferenza, la più praticata anche nel nostro tempo», ha riflettuto Riccardi. E allora quell'«Indifferenza» scritta a caratteri cubitali all'ingresso del Memoriale della Centrale, diventa un monito oggi ancor più necessario.
 


[ Paolo Ferrario ]