Così è nata la generazione-pace

Così è nata la generazione-pace

Mettersi in mezzo si può
Dall'aiuto umanitario al dialogo politico: la Comunità di Sant'Egidio ci è riuscita

Mozambico, 32 milioni di abitanti «e più della metà», spiega don Angelo Romano, membro dell'ufficio relazioni internazionali della Comunità di Sant'Egidio, «è nata dopo il 1992: io la chiamo la generazione della pace».
Torniamo a quell'anno, precisamente al 4 ottobre del 1992. Siamo a Roma e Joaquim Chissano, l'allora presidente mozambicano e il segretario del Fronte di liberazione del Mozambico e Afonso Dhlakama, leader della Resistenza Nazionale Mozambicana, firmarono un accordo generale di pace che metteva fine a 16 anni di guerra civile. Una guerra che aveva fatto un milione di morti e oltre quattro milioni di profughi. «La firma concludeva un lungo processo negoziale che si è svolto nella sede della Comunità di Sant'Egidio», dice Romano.
Nell'antico monastero di Trastevere Andrea Riccardi, fondatore della Comunità, Matteo Zuppi, oggi cardinale e arcivescovo di Bologna, Jaime Goncalves, arcivescovo di Beira, scomparso nel 2016, insieme a Mario Raffaelli, rappresentante per il governo italiano, avevano pazientemente tessuto con i belligeranti, per più di due anni, un dialogo iniziato il 10 luglio 1990. Con l`Accordo Generale di Pace si stabiliva la consegna delle armi della guerriglia alle forze dell'Onu, l'integrazione degli ex combattenti nell'esercito regolare e le procedure di sminamento e di pacificazione delle zone rurali.
«Non avevamo iniziato il nostro rapporto con il Mozambico con il dialogo politico», spiega Romano. «Nei primi anni Ottanta», continua, «ci occupammo del Paese perché vi era una carestia e mons. Goncalves, arcivescovo cattolico mozambicano, ci aveva chiesto supporto. Da lì iniziammo ad inviare aiuti umanitari, e crebbe parallelamente un rapporto rispettoso con il governo filomarxista del Paese, cosa che contribuì a migliorare la situazione per la Chiesa. Nel 1989 ricevemmo notizia di una suora rapita nel Nord del Paese, e come Sant'Egidio ci attivammo per aprire un canale di comunicazione con il Governo mozambicano e il Fronte di liberazione. Il canale funzionò, la suora venne liberata. Poco meno di un anno dopo iniziò il negoziato a Roma, nel luglio 1990.
Nel frattempo gli attacchi della guerriglia impedivano i trasporti interni al Paese, come anche quelli dei Paesi vicini. I beni di prima necessità e le merci per arrivare dovevano passare dal corridoio di Beira, la porta per il sud-est dell'Africa. Fu uno dei primi argomenti su cui fu possibile trovare un accordo nei negoziati di Roma. Parlammo con entrambe le parti in conflitto per spiegare che il primo impegno per la pace era la tenuta di quel corridoio lì: né il Governo né la resistenza nazionale dovevano aprire il fuoco sul passaggio delle merci. Entrambi accettarono di rispettare quella striscia, che divenne un luogo di rifugio per la popolazione».
Gli accordi di pace del Mozambico sono uno dei casi più espliciti in cui a fare la differenza non sono stati i Governi ma la società civile. Come si è arrivati a questo? «La verità?», dice Romano, «per esclusione. Il Mozambico era dimenticato da tutti. E come comunità abbiamo detto: "dobbiamo farlo noi". E siamo partiti dall'aiuto umanitario per arrivare all'interlocuzione con le parti in conflitto. Il Paese oggi continua ad avere grandi difficoltà, soprattutto dovute agli attacchi terroristici. Ma le persone ora sanno cosa sia la pace e una comunità coesa».