Ucraina, da due anni parlano solo le armi

Ucraina, da due anni parlano solo le armi

Da due anni divampa la guerra in Ucraina: il tempo è stato lasciato tutto alle armi, senza investire mai sul dialogo, sulla diplomazia e sulla ricerca della pace. Ora serve uno sforzo.
Sono passati due anni dall'inizio dell'aggressione dell'Ucraina da parte della Russia. Tutti ricordiamo lo sgomento provato davanti ai carri armati che marciavano verso la capitale Kiev. E poi i missili, i bombardamenti, i milioni di profughi e sfollati. L'Ucraina, uno Stato giovane, nato poco più di trent'anni fa, un paese che è sempre stato come alla frontiera dell'Europa (e non a caso Ukraina significa proprio «terra di frontiera»), ci è diventata vicina e familiare, è entrata improvvisamente nel nostro orizzonte. Abbiamo imparato a conoscere nomi di città come Cherson, Charkiv, Mariupol'... Abbiamo incontrato gli ucraini in cerca di rifugio, anche nella nostra città, ne abbiamo apprezzato il coraggio, la dignità e la resilienza.
Un'ondata di commozione ci ha attraversato davanti alle immagini di case, scuole, ospedali distrutti, di gente esposta al gelo, di famiglie divise, di violenze brutali come quelle avvenute a Bucha e Irpin'. Davanti a tanto male, in questi due anni, si è lasciata la parola alle armi, non si è investito sul dialogo, sulla diplomazia, sulla ricerca della pace.
Non che sia semplice trovare una via d'uscita a una situazione tanto complessa. Richiederebbe sforzi creativi, una tessitura paziente di rapporti e un grande senso di responsabilità da parte della comunità internazionale, a partire da quella europea. L'idea dell'Europa unita è nata proprio a partire dal ripudio della guerra da parte della generazione che l'aveva vissuta. Ma oggi l'Unione Europea sembra dimenticarlo, mentre parla di una nuova corsa agli armamenti.
Nel frattempo altre immagini di guerra, altri bombardamenti, altre violenze hanno attratto la nostra attenzione. Il rischio per l'opinione pubblica - e anche per ciascuno di noi - è quello di passare di guerra in guerra, sentendosi impotenti e diventando indifferenti. È facile dimenticare o discettare sulla guerra stando seduti comodi nei propri studi e salotti, «sicuri nelle tiepide case», direbbe Primo Levi. E le guerre sembrano non finire mai, diventare eterne.
Un'altra via però esiste. Comincia dalla solidarietà verso le vittime. Come le duemila tonnellate di aiuti umanitari inviati dalla Comunità di Sant'Egidio in Ucraina, tra cui tre tir partiti da Genova. O come i sessanta profughi accolti, tra cui un gruppo di dializzati che hanno visto le loro vite salvate perché la mancanza di energia elettrica equivale a una condanna a morte. Sant'Egidio è presente da trent'anni in Ucraina, a Kiev, Leopoli, Ivano-Frankivsk. Comunità di giovani e adulti che condividono con il resto della popolazione sofferenze, paure e disagi, ma che, a partire dalla costruzione di una rete di solidarietà - con la consegna di pacchi alimentari agli sfollati e l'invio di aiuti umanitari nelle regioni meridionali e orientali del paese, più esposte alle azioni belliche hanno cominciato a costruire l'Ucraina di domani.
Perché la pace, ci insegnano, comincia dalla solidarietà, antidoto al vittimismo e alla rassegnazione. Tutto questo ci interpella. L'eternizzazione della guerra provoca paradossalmente l'affievolirsi di quella mobilitazione internazionale che, nei primi mesi del conflitto, aveva prestato sostegno e soccorso. Ma ricordare, interessarsi e aiutare sono il primo passo per realizzare già da oggi un pezzo di pace e di futuro. E per nutrire la speranza, sempre.
L'autrice è professoressa associata in Storia contemporanea presso l'Università Roma Tre e membro della Comunità di Sant'Egidio. Ha recentemente pubblicato il volume "La costruzione dell'Ucraina contemporanea. Una storia complessa" (il Mulino 2023) Oggi, nel secondo anniversario di guerra, alle 19 nella basilica dell`Annunziata del Vastato a Genova, la Comunità di Sant'Egidio si raccoglierà in una preghiera per la pace assieme a tanti profughi ucraini accolti in questi anni in città, amici e sostenitori

 


[ Simona Merlo ]