Programmare il futuro e lasciarsi alle spalle guerra e povertà

Programmare il futuro e lasciarsi alle spalle guerra e povertà

L'esperienza di Valeria Gutterez con i corridoi umanitari della Comunità di Sant'Egidio
Un processo di integrazione per intere famiglie che poi si mettono al servizio dei più bisognosi perché «nessuno è così povero da non poter aiutare un altro».
«Mi sento molto felice». Risponde senza esitazione Valeria Gutterez, quando le si chiede come abbia trascorso 35 anni di volontariato nella Comunità di Sant'Egidio. Romana, professoressa d'inglese in un liceo della capitale, si occupa di curare la rete dei corridoi umanitari della Comunità. «Si guarda in faccia il dolore del mondo - precisa - ma è una gioia, quella del poter restituire, che ha in sé il dolore di queste persone». Una storia di servizio lunga quasi una vita, da quando, a 16 anni, ha iniziato la sua esperienza all'interno della Comunità: «Facevo doposcuola nei quartieri della periferia, come Primavalle e Quartaccio, offrendo quei servizi che avrebbero poi dato vita alle Scuole della pace».
I corridoi umanitari di Sant'Egidio sono presenti sin dal 2016 e hanno permesso a 5.608 tra donne, uomini e bambini in difficoltà di giungere in Italia da diverse parti del mondo. Sono principalmente siriani rifugiati in Libia, provenienti dal Corno d'Africa o dalle isole dell'Egeo. Una rete nata da un interrogativo tanto preciso quanto urgente: come arginare le morti nel Mediterraneo? Come aiutare i siriani, vittime di un conflitto dimenticato?
«Era necessaria una risposta tempestiva. Avvocati e giuristi della Comunità si sono riuniti per trovare la base giuridica che permette agli Stati membri di concedere visti per motivi umanitari», racconta Gutterez. «Il processo, formalizzato nel 2015, si è delineato come un percorso di successo». In quasi dieci anni di attività, lo scenario socio-politico è mutato, con l'avvento di nuovi conflitti e l'avvicendarsi di calamità di vario tipo. Ciò ha avuto conseguenze sulle persone: «Negli ultimi anni la maggior parte dei bambini siriani sono nati profughi in Libano - racconta - nei campi per rifugiati. Una vera generazione di profughi, che non ha conosciuto niente di diverso». «Nei primi anni del conflitto - prosegue - i siriani credevano in una guerra temporanea e nella possibilità di poter tornare a vivere la propria vita», spiega, «come tante persone dell'Ucraina conservano ancora, nel proprio intimo, la speranza di poter far ritorno nel loro Paese». D'altro canto, «dalla Libia arrivano per la maggior parte giovani uomini africani, donne e bambini, che hanno vissuto un vero e proprio inferno. Dalla Grecia tanti uomini da soli, ma anche famiglie con bambini. Tante famiglie numerosissime giungono dall'Afghanistan».
Uomini, donne e bambini devono ripensarsi, dopo aver abbandonato la propria nazione, approdando in un Paese sconosciuto. «Tra le difficoltà maggiori c'è l'inserimento lavorativo, ma molti compiono un percorso di istruzione e formazione professionale che li aiuta», soprattutto sorretti dalla Comunità. Proprio la Comunità ha accompagnato e continua a farlo la famiglia di M., musulmano siriano, giunto in Italia alla fine del 2016 insieme con moglie e figli. «In soli dieci mesi, grazie a un'offerta di lavoro e alla sua buona volontà, M. ha raggiunto l'indipendenza economica», racconta l'insegnante romana. «Oggi i suoi quattro figli programmano il loro futuro scolastico con serenità».
Le storie di resilienza e di speranza sono, fortunatamente, molte. Tra le più significative quelle di A., donna palestinese che viveva alla periferia di Damasco, ritrovatasi da sola con tre figli, uno dei quali affetto da grave disabilità. Giunta in Europa grazie ai corridoi umanitari, oggi vive serenamente in una casa popolare. «Ciò che colpisce, in queste persone, è la gioia che brilla nei loro occhi quando, a loro volta, aiutano qualcun altro», commenta Valeria Gutterez, «o anche semplicemente offrono un contributo, come si può fare aiutando a preparare i viveri che verranno donati alla Casa dell'amicizia a Trastevere». Un circolo virtuoso, alimentato dalla convinzione che «nessuno è così povero da non poter aiutare un altro».
 

[ Rosalba Cucci ]