La rivoluzione pacifica di Mandela

La rivoluzione pacifica di Mandela

30 anni fa la vittoria dell'Anc
Trent'anni fa si tennero le elezioni generali in Sudafrica, tra il 26 e il 29 aprile del 1994, per il rinnovo dell'Assemblea nazionale. Si trattò delle prime elezioni a suffragio universale e senza discriminazioni razziali.
Le consultazioni videro la vittoria dell'African National Congress guidato da Nelson Mandela, che pochi giorni dopo divenne primo Presidente nero della Repubblica. Il Sudafrica usciva da un sistema strutturato di separazione razziale che aveva la segregazione come unico modo per far convivere le diversità in un unico Paese: era l`apartheid. Vittime di questo sistema erano anche i coloured, come l'avvocato Gandhi che nel 1893 fu scaraventato fuori da un treno su cui non aveva il diritto di viaggiare.
In quella terra, macchiata dal sangue, furono creati, per la prima volta nella storia, i campi di concentramento dai colonizzatori inglesi durante la guerra anglo boera (1899-1902). Lungo il Novecento la segregazione si stratificò: l'apartheid era ovunque: nei trasporti, nel sistema scolastico, nel sistema politico, nelle geografie urbane, nelle divisioni territoriali, in ogni tipo di attività sociale. Nel 1976 ci fu una strage di studenti a Soweto, dove la polizia con i blindati e i cani uccise, si stimò, circa 700 persone. La brutalità del regime era, secondo i suoi propugnatori, l'unico modo per far sopravvivere la tribù bianca (10 per cento della popolazione) in un Paese a stragrande maggioranza nera.
In quella terra bagnata dal sangue era sorta la resistenza, quella dell'African National Congress; la resistenza di Steve Biko, che fondò il movimento della coscienza nera, nelle intenzioni non violento; quella di Desmond Tutu, arcivescovo anglicano di Cape Town, poi premio Nobel per la pace, che si esponeva personalmente nelle township per evitare i linciaggi dei collaborazionisti neri dell'apartheid da parte delle folle inferocite. Mandela rappresenta un eroe, un'icona, ma anche un uomo che si è costruito, da capire meglio perché tanto attuale nel nostro tempo.
In prigione per 27 anni, non perse la lucidità politica e quando i bianchi, soprattutto gli afrikaner boeri, capirono che non c'era altra soluzione che il negoziato, lui divenne l'interlocutore principale. Nel 1993 il premio Nobel per la pace andò ai due negoziatori dello smantellamento dell'apartheid, Mandela e il primo ministro sudafricano bianco De Klerk. È stata la profondità di Mandela e la sua capacità di sognare oltre la realtà a permettere di voltare pagina, evitando un massacro che alcuni giudicavano inevitabile vista la polveriera che era stata costruita con la repressione. Lo si vide subito nel febbraio 1990 al momento della sua liberazione, salutando i giornalisti dal giardino della casa di Tutu. In quel momento il Sudafrica era isolato internazionalmente, e aveva destabilizzato i Paesi confinanti come il Mozambico. Molti bianchi contrari al regime erano emigrati in Australia o in Europa. Nel mondo l'ondata unanime di sdegno della società civile tra cui molti giovani contro il razzismo aveva portato alle sanzioni internazionali. Forse quelle nello sport facevano soffrire di più, in particolare la squadra di rugby, come mostra il film Invictus che, in maniera romanzata, fa capire come Mandela volle in ogni angolo della società ricostruire la convivenza, portando i suoi compatrioti neri a tifare per una squadra di bianchi nel segno dell'unità nazionale di quella che è stata chiamata la nazione arcobaleno.
Le elezioni del 1994 con la vittoria dell'ANC furono sorprendenti anche per l'assenza di violenza. Onore quindi ai sudafricani, Mandela in primis che nel 1994 raggiunsero questo grande risultato e su cui oggi, in un mondo in subbuglio, continuiamo a riflettere.

[ Marco Impagliazzo ]