PAROLA DI DIO OGNI GIORNO

Liturgia della domenica
Parola di Dio ogni giorno

Liturgia della domenica

XIV del tempo ordinario.
Memoria dell'apostolo Tommaso. Confessò Gesù come suo Signore e lo testimoniò, secondo la tradizione, sino in India.
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Libretto DEL GIORNO
Liturgia della domenica

Omelia

Il Vangelo di questa domenica ci richiama alla condizione di discepolanza che ogni credente deve vivere. Essa è chiaramente espressa nella preghiera di Gesù al Padre: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (v. 25). Con queste parole Gesù benedice e ringrazia il Padre perché ha fatto conoscere il Vangelo del Regno ai “piccoli”. Con il termine “piccoli” Gesù non vuole indicare un’età anagrafica, i piccoli di età, ma i discepoli, ossia coloro che si lasciano guidare verso di lui, che si affidano alla sua parola. I discepoli, infatti, non sono coloro che guidano se stessi in maniera autonoma, ma coloro appunto che, come i bambini, si lasciano illuminare la mente e il cuore dal Signore e affidano a lui la propria vita. Che questa sia la volontà di Dio, Gesù se ne rende conto guardando quel piccolo gruppo di uomini e di donne che lo seguono. Tra di loro non ci sono molti potenti e intelligenti; sono per lo più pescatori e persone di ceto non elevato. Se qualche personaggio di rilievo si è avvicinato a Gesù (pensiamo al saggio Nicodemo), si è sentito dire che doveva “rinascere di nuovo”, tornare ad essere “piccolo”, altrimenti non sarebbe potuto entrare nel regno dei cieli. Solo ai “piccoli”, infatti, appartiene il regno.
“Piccolo” è chi riconosce il proprio limite e la propria fragilità, chi sente il bisogno di Dio, lo cerca e si affida a lui. Il testo evangelico, pertanto, quando parla con tono dispregiativo dei “sapienti” e di “dotti” non si riferisce a coloro che con fatica ricercano la verità e il miglioramento della vita personale e collettiva; tutt’altro. Intende piuttosto quell’atteggiamento che trova il suo prototipo negli scribi e nei farisei. Costoro si sentono a posto davanti a Dio, ricchi delle proprie buone opere, si ritengono conoscitori delle cose di Dio a tal punto da non avere un minimo di inquietudine; sono così sazi di se stessi che non sentono il bisogno di stendere la mano per chiedere aiuto a Dio. Questa autosufficienza, oltre tutto, non è affatto neutra, si accompagna al disprezzo per gli altri, come Gesù stesso ci mostra nella parabola del fariseo e del pubblicano: il primo prega in piedi davanti all’altare mentre il secondo, prostrato, si batte il petto, pentito. Eppure, aggiunge Gesù, è proprio quest’ultimo ad essere giustificato. È a uomini come questi che Gesù dice: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”.
Il Signore, come un amico buono, chiama a sé tutti coloro che sono affaticati e appesantiti dalla vita: da quel pubblicano al piccolo gruppo di uomini e donne che lo seguono, sino alle folle prive di speranza, oppresse dallo strapotere dei ricchi, colpite dalla violenza della guerra, della fame, dell’ingiustizia. Su tutte queste folle dovrebbero, oggi, risuonare le parole del Signore: “Venite a me, e io vi darò ristoro”. Il ristoro non è altro che Gesù stesso: riposarsi sul suo petto e nutrirsi della sua Parola. Gesù, e solo lui, può aggiungere: “Prendete il mio giogo su di voi”. Non parla del “giogo della legge”, il duro giogo imposto dai farisei. Il giogo di cui parla Gesù è il Vangelo, assieme esigente e dolce, appunto come lui. Per questo aggiunge: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore”. Imparate da me: ossia divenite miei discepoli. Ne abbiamo bisogno noi; e soprattutto ne hanno bisogno le numerose folle di questo mondo che aspettano di ascoltare ancora l’invito di Gesù: “Venite e troverete ristoro”.