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La memoria dei martiri cristiani contemporanei nella Basilica di Santa Maria in Trastevere. L'omelia del card. Lazarus You Heung-sik

Omelia del cardinale Lazarus You Heung-sik in occasione della Veglia di Preghiera in ricordo di coloro che in questi ultimi anni hanno offerto la loro vita per il Vangelo
Basilica di Santa Maria in Trastevere, 3 aprile 2023

Cari fratelli e care sorelle,
La martyria, la testimonianza sino all’effusione del sangue, appartiene ai cristiani di tutti i continenti e di tutte le confessioni. Inghiottiti dalla violenza omicida, sono parte della Chiesa celeste e universale, che accompagna la nostra preghiera. “Spesso sconosciuti, quasi «militi ignoti» della grande causa di Dio” (Tertio Millennio Adveniente 37). Per quanto è possibile non devono andare perdute nella Chiesa le loro testimonianze. Sono laici e pastori, donne e uomini. Sono bambini e anziani disarmati, colpevoli solo di portare impresse nella loro carne il nome e l’umanità del Signore Gesù. Il XX e il XXI secolo hanno conosciuto, più che nella prima era cristiana, il martirio di massa, ma anche la consegna della speranza del Vangelo da una generazione all’altra, sino a noi, gli ultimi. Noi, che - come afferma la Lettera agli Ebrei - non abbiamo ancora resistito sino al sangue (cfr Eb 12, 4).
Per questo abbiamo un debito enorme verso tutti i martiri in senso più largo - non canonico - del termine. Perché sono l’humus dal quale emergono figure esemplari. Umili e contradditori, forse come lo siamo noi, sono però sempre più grandi: hanno resistito, non hanno abbandonato la prima linea dello scontro contro le potenze avverse, si chiamino corruzione, ingiustizia, disprezzo per i deboli, conflitto e terrorismo, disegni di male di ogni tipo. Le loro armi sono state amore e compassione, opera di pace e riconciliazione, predicazione del Vangelo e carità, forza del perdono e preghiera.
Hanno vissuto ciò che Gesù ha annunciato a Pietro, mentre si dirigeva per l’ultima volta verso Gerusalemme, e dopo avergli parlato già per due volte della sua passione, morte e resurrezione.  I Dodici erano turbati, e Pietro, a nome di tutti, si chiedeva cosa avrebbero avuto in cambio dopo aver lasciato tutto per seguire il loro Maestro.
Gesù aveva risposto che chiunque lo avesse fatto in nome suo e del Vangelo, avrebbe ricevuto già allora “cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi”.  
Sembra di vedere la famiglia senza confini degli amici del Signore: ovunque a casa propria, perché ogni casa accogliente diviene loro, pieni di fratelli e sorelle: tutti quelli che il Signore gli ha donato, a volte sorprendentemente poveri e feriti, ma capaci di amare. E padri e madri, perché, ovunque accompagnati dalla testimonianza di altri cristiani e dalla preghiera della Chiesa. Disarmati nelle difficoltà, ma più ricchi in umanità di tanti benestanti. Sanno cos’è la felicità, perché hanno compassione del dolore. Conoscono la tristezza e la gioia autentiche perché il loro cuore è stato dilatato dalla predicazione della Parola di Dio. E quanti campi hanno arato. Quanta semente è stata gettata ovunque. Quanti raccolti…Ma Gesù aggiunge “Insieme a persecuzioni e la vita eterna nel tempo che verrà”.
Il loro amore è stato provato dal fuoco. L’invidia del signore di questo mondo, del tentatore, ha cercato di sradicarne la vita. Ha cercato di spegnerne la voce, di costringerli ad adorare idoli muti: denaro, potenza. Prevaricazione. Molti dei cristiani uccisi, invece, sono stati trovati così: poveri e credenti. Umili e sconfitti, ma non idolatri. Grazie a loro un raggio di vita eterna è entrato nel nostro tempo. Ne sono stati un riflesso. Le tenebre non hanno vinto per sempre. La loro morte contiene perciò la promessa del Regno di Dio, della pienezza della vita, non più umiliata dal male. Paradosso della Croce, senza la quale non ci sarebbe la Pasqua! Per questo rendo grazie con voi, cari amici della Comunità di Sant’Egidio, che tenete viva questa memoria qui a Roma e in tanti luoghi, insieme a religiose e religiosi, fratelli e sorelle delle Chiese cristiane. In questa nostra invocazione comune emergono i loro volti e le loro storie, e siamo guidati insieme verso la Resurrezione.
Come forse saprete, provengo dalla Corea, una terra bagnata dal sangue dei martiri - che sono tra 10.000 e 30.000 - storia e linfa della Chiesa coreana, molto viva, seppure minoritaria. Le persecuzioni del XIX secolo non hanno spento la fede. Al contrario: lo testimoniano il martirio del primo sacerdote coreano Andrea Kim Taegon e del catechista Paolo Chong Hasang, insieme a quello di Vescovi, Sacerdoti, fratelli e sorelle laici, canonizzati da S. Giovanni Paolo II il 6 maggio 1984 a Seoul, come anche i 124 martiri beatificati da Papa Francesco nel 2014.  Migliaia le vittime cristiane e numerosissimi sono coloro di cui non si conosce l’identità, ma non per questo sono meno preziosi agli occhi del Signore. Ciò che mi piace sottolineare è il fatto che, quando arrivava il Vangelo in Corea, cominciavano a cambiare le persone, si guardavano diversamente, come veri fratelli. Ciò ha rappresentato una svolta decisiva nella storia della Penisola; il Vangelo, infatti, ha portato uguaglianza e giustizia nel popolo, grazie anche alla testimonianza dei martiri, che hanno messo in pratica la Parola di Gesù fino alle estreme conseguenze, conquistando, con la loro fede, anche i cuori più duri.
Le memorie che saranno evocate in questa celebrazione sono come le candele accese che aumentano la loro luce, l’una accanto all’altra, come la fiamma pasquale nella Notte Santa. Lasciamoci provocare alla fede e alla generosità dell’amore, alla fedeltà a Cristo. Raccogliamo la luce della loro testimonianza, e le tenebre del tempo presente non vinceranno. La pace giungerà, e il mondo ritroverà la sua umanità. Amen