I bambini feriti a Gaza accolti e curati in Italia

Mondialità. Il progetto coinvolge la Comunità di Sant'Egidio: il racconto della responsabile Anna Marchei

La Comunità Sant'Egidio è coinvolta in un importantissimo progetto di accoglienza ai feriti di Gaza e ai loro accompagnatori, quelli a cui almeno è consentito di potere raggiungere l'Italia accompagnando così i loro congiunti. L'iniziativa è nata a seguito del rientro in Italia della nave Vulcano della marina italiana con personale sanitario del Qatar che ormeggiata in Egitto ha svolto attività di prima accoglienza peri feriti di Gaza.
Con immediatezza, la Comunità Sant'Egidio ha dato una positiva risposta al tema dell'accoglienza Un primo arrivo è stato con un volo aereo nella notte tra il 29 e il 30 gennaio, poi la nave Vulcano è rientrata il 5 febbraio, e un secondo volo è avvenuto il 9 febbraio. Altri voli sono poi seguiti, e più di 100 persone sono state complessivamente evacuate.
Anna Marchei, responsabile per la Comunità di Sant'Egidio dell'accoglienza per la città di Roma, non nasconde la propria preoccupazione: «Mi spiace infinitamente per l'escalation di violenza e l'elevato numero di morti. Come Comunità di Sant'Egidio ci auguriamo che altri possano arrivare perché la situazione in quel territorio è davvero insopportabile, una settimana fa un cugino di una delle donne che accogliemmo è morto in un bombardamento mentre andava in cerca di aiuti alimentari, un'altra donna ci dice con preoccupazione che tutti i giorni teme di perdere un figlio per un chilo di farina... Come Comunità di Sant'Egidio abbiamo segnalato delle persone da evacuare, dando la disponibilità ad accoglierle una volta giunte in Italia».
Quante persone avete accolto sinora?
«Diverse decine, e ciascuna di loro con storie molto toccanti. Le faccio un esempio di un bambino di un anno e mezzo, che era arrivato al confine conia mamma, il papa tre sorelle ed una zia. Le autorità del posto hanno stabilito che potesse passare solo un accompagnatore».
Chi è andato?
«La madre era ferita ed aveva con sé gli altri figli piccoli. È andata una zia. Ma non è questo il punto. Il fatto è che si sta sviluppando una significativa disgregazione dei nuclei famigliari. Sarà importantissimo ricostituire in fretta questi legami per non lasciare ferite più profonde».
Cosa accade quando arrivano in Italia?
«Sono persone che necessitano di cure. Il governo italiano sta svolgendo un fondamentale lavoro di raccordo con le strutture sanitarie. Gli ammalati possono fermarsi negli ospedali italiani per il tempo necessario alle loro cure. Qualcuno da quando è arrivato, cioè da fine gennaio, è ancora ricoverato. Altri invece sono stati collocati presso le nostre realtà di accoglienza».
Chi è ricoverato non è allora sotto la vostra responsabilità?
«Al contrario, lo seguiamo anche se sta in ospedale. Magari necessita di cibo particolare, o comunque di sbrigare alcuni documenti amministrativi, in ogni caso gli facciamo visita perché non si senta abbandonato a se stesso: insomma, seguiamo l`intero suo percorso».
In questo preciso momento quante persone vi sono soltanto a Roma?
«A Roma sono arrivate 53 persone, di queste 24 sono presso Sant'Egidio: ci occupiamo del loro vitto e dell'alloggio, e verifichiamo le prospettive che desiderano avere per il loro futuro».
È un'attività simile a quella più generale, sempre seguita da voi, dei corridoi umanitari, giusto?
«No, nascono da presupposti diversi: nei corridoi umani le persone svolgono dei colloqui prima di partire, quando arrivano in Italia ci conosciamo già. Nel programma dei corridoi umanitari le persone sanno che l'ingresso è finalizzato alla domanda di asilo. Qui è diverso: si tratta di un'accoglienza per curare feriti ed ammalati di un altro Paese, ma non prevede necessariamente la domanda di asilo, qualcuno ha deciso di fermarsi e ha seguito questa strada altri sono divisi tra qui e la propria terra d'origine, alcuni hanno manifestato apertamente il desiderio di tornare nonostante le attuali difficoltà».
Malgrado la guerra?
«I palestinesi hanno un legame fortissimo con la propria terra. Sono convinti che questa guerra sia durata anche troppo. O sono comunque abituati a vivere nei conflitti, ma ciò che dà loro speranza è l'idea di famiglia, di potere stare insieme. Certo, qualcuno magari vorrà pure fermarsi qui, ma sinceramente non so immaginare quando. In ogni caso i bambini li abbiamo inseriti negli asili o a scuola, anche i grandi studiano la lingua italiana: le opportunità vanno offerte a tutti».
Ma a Roma dove li ospitate?
«In case di accoglienza della Comunità di Sant'Egidio e attraverso una rete più larga, ad esempio una mamma con un bambino presso una casa famiglia (Protettorato di San Giuseppe) e una coppia di sorelle presso un Istituto di suore (la casa generalizia delle suore di Gesù Buon pastore)».
E se arrivassero altri malati?
«Ci attrezzeremo in qualche modo. L'Unità di crisi della Farnesina ed il ministero della Salute fanno un appello alle varie associazioni chiedendo chi sia nelle condizioni di accogliere chi proviene da zone di crisi. Il mese scorso sono arrivate, tramite i corridoi umanitari, 50 persone dalla Libia. Non sempre è facile essere immediatamente disponibili. Dobbiamo conoscere chi sono gli ospiti e i loro bisogni: capire cioè che tipo di risposte possiamo dare. E non è detto che la destinazione finale sia quella di Roma, possiamo coinvolgere anche altre nostre realtà, da Bergamo a Palermo, della comunità». 
Cosa le sta lasciando questa esperienza?
«Tanto. Ho sviluppato negli anni molta consapevolezza e provo un grande rispetto: sulla loro vita si è abbattuto un male enorme. Ho conosciuto un infermiere palestinese che mi ha detto: "Abbiamo conosciuto l'inferno, ho dovuto riconoscere un parente dal solo moncherino di un braccio". Il Signore ci chiede di accogliere, anche faticando, perché ciò libera le persone. La vita è qualcosa di bellissimo e noi non sempre ce ne rendiamo conto: se nella nostra facciamo entrare gli altri, anche con il loro dolore, la nostra vita è destinata a risplendere. Si riceve veramente 100 volte tanto a quanto si è cercato di dare. Quando il mondo sarà in pace avrà una casa a Gaza. Come in Siria, o in Afghanistan».

 
 
 

[ Eugenio Lombardo ]