Corno d'Africa, il corridoio umanitario di mamme e bambini

Corno d'Africa, il corridoio umanitario di mamme e bambini

Atterrati a Fiumicino 97 profughi da Eritrea e Somalia grazie a Sant'Egidio
Famiglie in fuga da guerra e dittatura fatte uscire dai campi in Etiopia. Saranno accolte dai parenti già arrivati in Italia grazie al protocollo firmato con Farnesina e Viminale
E' stato il corridoio umanitario delle famiglie, delle mamme e dei bambini. Sì, perché trai 97 richiedenti asilo arrivati ieri a Fiumicino dall'Etiopia - fuggiti dalla dittatura in Eritrea e dal caos in Somalia - c'erano ben 20 famiglie (14 guidate da una madre), 37 donne e 29 minori. Atterrati con un volo di linea in tutta sicurezza, scampati ai trafficanti. Grazie al protocollo firmato con i ministeri di Interno ed Esteri dalla Comunità di Sant'Egidio e dalla Conferenza episcopale italiana in collaborazione con Caritas Italiana e Fondazione Migrantes. A finanziare il progetto i tondi Cei dell'8 per mille e il sostegno di HumCore, programma europeo che in 9 paesi collabora con i corridoi umanitari.
I profughi dal Corno d'Africa, in maggioranza eritrei e somali in condizioni di fragilità come le madri con minori, erano da tempo rifugiati in Etiopia e sono stati segnalati da familiari o amici già arrivati con i corridoi. Molti sono stati accolti dai parenti in Italia. Il sostegno della "diaspora eritrea" è una garanzia per una migliore integrazione. Altri saranno ospitati in case messe a disposizione dalla rete di sostegno della società civile in otto regioni italiane (Lazio, Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Sicilia, Toscana). L'integrazione passerà come sempre attraverso l'iscrizione a scuola dei minori, l'apprendimento dell`italiano per gli adulti e, una volta ottenuto lo status di rifugiato, l'inserimento nel mondo del lavoro.
A dare il "Benvenuti in Italia" ai profughi c'era Marco Impagliazzo, presidente di Sant'Egidio, e i rappresentanti dei ministero degli Esteri e dell'Interno, Pierfrancesco Sacco e Carla Di Quattro. Benvenuti in un paese in pace - ha detto - voi che venite da situazioni di guerra, terrorismo, conflitti. Ora comincerete nuove vite».
Momenti di gioia e commozione tra gli eritrei d'Italia e i parenti appena sbarcati, nella sala degli arrivi del T5. il terminal dei voli speciali. C'è Ruth, 21 anni, accento genovese, figlia di eritrei che già hanno avuto la cittadinanza italiana. Studentessa di Economia marittima, lavora come cameriera e fa volontariato coi bambini della Scuola di pace di Sant'Egidio. Aspetta emozionata il cugino Iohannes, suo coetaneo, scampato alla fame nei campi profughi in Etiopia dove, durante la guerra nel Tigrai, ha mangiato solo riso. «È un ragazzo in gamba - dice Ruth - e anche se non ha completato la sua preparazione recupererà».
C'è Jonas, arrivato col primo corridoio nel 2017, che finalmente abbraccia la moglie appena sbarcata. Una volta ottenuto il passaporto è andato a sposarla in Etiopia. Ora prende in braccio la loro bimba di meno di un anno. Che piange spaventata perché suo papà non l'aveva ancora visto. E c'è Yamane, che dopo aver fatto il liceo italiano ad Asmara è arrivato in Italia tanti anni fa con un permesso di studio e ha chiesto asilo. Lo ha già raggiunto da tempo il fratello, 17 anni di servizio militare obbligatorio e due anni di carcere per aver provato a scappare. Diserzione riuscita al secondo tentativo. Yamane, a Roma per accogliere la sorella con i figli, domani torna in Germania dove ha trovato opportunità migliori di vita e lavoro: «La Germania non è il paradiso - racconta in un italiano impeccabile - ma è un Paese pragmatico che ha capito che gli stranieri, se ci investi, sono una risorsa preziosa. Non è lo stesso in Italia, dove vorrei vivere».
 
 

[ Luca Liverani ]