«Europee, il nostro appello per una svolta necessaria. Basta con la retorica bellicista, l'Ue ritrovi se stessa»
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«Europee, il nostro appello per una svolta necessaria. Basta con la retorica bellicista, l'Ue ritrovi se stessa»

Intervista ad Adriano Roccucci della Comunità di Sant'Egido
Adriano Roccucci è il Responsabile nazionale per l'Italia della Comunità di Sant'Egidio, che ha condiviso a Trieste con altre organizzazioni cattoliche l'appello ai candidati al Parlamento europeo. Perché si impegnino a fare emergere «con decisione un impegno condiviso per una pace fondata sul riconoscimento dell`infinita e inalienabile dignità della persona».
Ma l'Europa può avere ancora un ruolo nella costruzione della pace, dopo che per l'Ucraina ha imboccato con decisione quasi solo la via militare?
L'appello nato dall'incontro in preparazione della Settimana sociale dei cattolici nasce da una consapevolezza e da un'urgenza: quali sono le priorità in vista delle elezioni europee? La priorità oggi è una: la pace. Perché in Europa c'è la guerra, quella in Ucraina. E attorno all'Europa la guerra in Medio Oriente. Più le altre tessere della "terza guerra mondiale a pezzi; come dice Papa Francesco. La situazione in Ucraina è molto rischiosa, ma questa consapevolezza sembra annebbiata. Una priorità preliminare, senza la quale ogni altro ragionamento sull'Europa oggi non ha ragione di essere. Mentre preoccupa assistere a una sorta di attrazione per la guerra nei discorsi di responsabili politici, di opinionisti, in genere nel discorso pubblico.
Si sdogana cioè l'idea che la guerra sia uno dei modi possibili per affrontare le crisi. Senza valutare appieno i rischi di escalation totale.
Due osservazioni. La prima è che Ie retoriche della guerra sono pericolose perché creano gabbie da cui è difficile uscire. La seconda è che da anni assistiamo in Europa e nel mondo, forse dall'11 settembre 2001, a una riabilitazione della guerra come strumento di risoluzione delle questioni internazionali. Retorica befficista e riabilitazione della guerra creano una morsa culturale e politica da cui dobbiamo assolutamente liberarci.
Il mondo sta trasformandosi rapidamente, il peso dell'Europa è in fase di riduzione.
È vero, gli assi di potere si spostano verso altri quadranti. La mia speranza è che l'Europa possa ancora giocare un ruolo per la promozione della pace, sulla base del progetto europeo che voleva essere una via d'uscita da un trentennio di guerre.
L'appello è che a Strasburgo arrivino parlamentari nuovi che considerino la pace come "la priorità"?
Non è un appello da anime belle, ireniche, un po' ingenue. Nasce da una consapevolezza concreta, storica, sulla drammaticità e l'urgenza del momento. È una consapevolezza che matura nella vicinanza concreta e quotidiana alle vittime delle guerre. La sofferenza dei popoli, a cominciare da quello dell'Ucraina, chiede la cessazione dell'uso della violenza. È questa consapevolezza che ci ha spinto ad appellarci ai governi, al parlamento europeo, ma anche alla società italiana.
Perché la pace non riguarda solo la politica: l'educazione alla pace, la solidarietà, il dialogo sono da sempre nella vita dell'associazionismo cattolico.
SI, la pace è un processo che si costruisce con fatica. Sicuramente la solidarietà e l'aiuto umanitario sono tasselli di questa costruzione. Ad esempio Sant'Egidio già all'indomani dell'invasione russa ha risposto alla guerra moltiplicando gli sforzi di solidarietà. Poi c'è la formazione: bisogna contrastare la militarizzazione delle menti. In questo tempo di guerra assistiamo al trionfo della semplificazione, della contrapposizione, della costruzione del nemico. C'è un discorso culturale da fare, per rispondere alla riabilitazione della guerra e alla denigrazione della pace. La pace deve ispirare pensieri, ricerche, incessante lavoro di dialogo. Urge una tensione culturale e civile. In un mondo che si sta drammaticamente trasformando non dobbiamo rinunciare alla pace, ma lavorare convintamente per rimetterla in cima alle agende.
D'altronde per l'opzione militare si investono da sempre risorse enormi:economiche, scientifiche, culturali. Se la pace è debole è anche perché non ci si scommette abbastanza?
È così: "se vuoi la pace, prepara la pace", non la guerra. Serve un grande Investimento. Le organizzazioni internazionali sono in profonda difficoltà. I grandi ideali sembrano svuotati, dall'impegno per il terzo mondo a quello per la lotta alle disuguaglianze sociali. C'è da investire per ricostruire un'architettura di pacifica convivenza e di interdipendenza, oggi fortemente - se non inimediabilmente - compromessa. Non è possibile investire solo, anche mentalmente, sulla dimensione militare. Non si costruisce un mondo in pace con le guerre.
Ieri a New York Sergio Mattarella ha aperto i lavori della conferenza Onu sullo stato di attuazione dell'obiettivo di sviluppo sostenibile n°16 su"Pace,giustizia e istituzioni per lo sviluppo sostenibile".
Quella del Presidente della Repubblica è una voce autorevolissima, che interpreta l'urgenza di questo tempo in cui bisogna puntellare l'edificio dell'ordine internazionale che ha crepe pericolose. E chiede con insistenza perché si faccia tutto il possibile per i diritti umani, per l'inclusione, per la pace. Proprio in questo tempo di consapevolezze annebbiate. 

[ Luca Liverani ]