Volo umanitario Beirut-Roma per salvare 93 profughi siriani

Vivono in tende e baracche in un campo al confine con il Libano Lunedì un progetto della Comunità di Sant`Egidio li porterà in Italia Reportage

Il campo profughi di Tell Abbas si trova alla frontiera fra il Libano e la Siria, a metà strada fra Beirut e Homs, cento chilometri, o poco più, da entrambe le città. Sono una ventina di baracche e tende dove vivono 93 persone. Un piccolo campo in mezzo alle serre di melanzane e pomodori, dove gli uomini prestano lavoro gratis ai proprietari per pagarsi il diritto di stare accampati sulla loro terra. Uno delle migliaia di campi che ospitano, malissimo, il milione di profughi siriani in Libano. Ma che sta per entrare nel suo piccolo nella storia della grande migrazione che ha travolto l'Europa.
Corridoio privato
Lunedì, alle 4 del mattino, su un volo di linea Alitalia, Beirut-Roma, i 93 rifugiati di Tell Abbas saranno i primi a percorrere il corridoio umanitario che la Comunità di Sant`Egidio, assieme alla Federazione delle chiese evangeliche italiane, ha aperto in collaborazione con i ministeri dell'Interno e degli Esteri italiani. È un corridoio «privato», finanziato da donazioni e dall`8 per mille della Tavola valdese. Non costa un euro ai contribuenti ed è il primo a permettere di attraversare il Mediterraneo senza dover rischiare la vita. Il progetto prevede il coinvolgimento di 1000 persone in due anni. Dopo il corridoio dal Libano, saranno aperti quelli dal Marocco e dall`Etiopia. A partire sono i rifugiati più fragili: famiglie con bimbi piccoli, anziani, ammalati. In Italia li aspetta una struttura di accoglienza, e una scuola. I profughi sono selezionati dai volontari sul posto e identificati dalla polizia libanese e italiana, e non c`è nessun rischio di «infiltrazioni». Avranno lo status di richiedenti asilo per ragioni umanitarie. A Tell Abbas vivono, ancora per tre giorni, 11 famiglie, tutte dello stesso quartiere di Homs. In una tenda ci sono Abdul Salam Labachi, 32 anni, e il fratello Mohammed, 23, assieme al cognato Rami Sattouf, 28, con la moglie Fidah, il vivacissimo figlioletto Abudi, che a quattro anni parla già un po` di italiano e chiede a tutti «come ti chiami?», e il bimbo più piccolo Hattoumi. Sono arrivati fra il 2012 e il 2014, mano a mano che la guerra civile distruggeva la città. «Le prime manifestazioni sono cominciate a Bab Amr, il nostro quartiere - racconta Abdul Salam -. Il sindaco, parente di Bashar al-Assad, voleva radere al suolo le nostre case, costruire dei palazzoni e farci pagare i nuovi appartamenti. Ci siamo rivoltati, polizia ed esercito ci hanno sparato addosso». Rami è arrivato due anni dopo. Prima ha visto morire il padre di crepacuore perché tutti i figli, 5 maschi e 4 femmine, erano scappati. Quello che ha convinto anche lui ad andare via è stato vedere la casa della famiglia vicina disintegrata da una bomba, «e i loro figli morti coperti dai calcinacci». Rami faceva l'autista per i piccoli taxi collettivi. Ha preso la macchina di un amico, ha caricato il figlioletto e la moglie incinta e ha guidato «di notte, per stradine secondarie, evitando tutti i posti di blocco», finché è arrivato alla frontiera. Ora il sogno dell`Europa è realtà. «La prima cosa è la scuola per i figli, io posso fare l`autista, l`imbianchino, quello che basta per vivere».
Stufetta a gas e tv
Nella tenda gli unici conforti sono una stufetta a gas, un ventilatore, la tv. Ma a Tell Abbas gli operatori umanitari hanno aperto una scuola, dove i bambini imparano anche l`italiano.
«L`integrazione comincia già qui - spiega Maria Quinto, responsabile del progetto per Sant`Egidio e insegnante in aspettativa -. Andare a scuola, prepararsi per un lavoro. Il nostro è un progetto completo, la prima alternativa ai viaggi della morte». Dai campi attorno a Tripoli, nel Nord del Libano, i trafficanti «chiedono mille dollari per un posto su una barca di pescatori, che ti porta fino in Turchia. Si va a remi, perché se i militari sentono il motore, sparano», racconta Rami. Ma in tanti provano perché con i voucher dell`Onu, «80 dollari al mese per quattro persone», e senza un lavoro, non si campa. Ci sono anche tanti bambini malati, alcuni con problemi agli occhi. In Libano la sanità è privata e carissima, i figli dei rifugiati non possono curarsi. Ci sono anche casi di poliomielite, perché in Siria in alcune zone controllate da ribelli salafiti sono stati proibiti i vaccini. E poi tanti bambini mutilati. Come Dya Al-Badawi, 11 anni, che ha perso una gamba nel 2011: «Giocava a pallone davanti a casa - racconta il padre -. È cominciato uno scontro fra ribelli ed esercito. Una granata di Rpg, non so neanche chi l'ha sparata, l'ha colpito». Dya gioca ancora a pallone, con le stampelle. Appena arrivato in Italia, avrà finalmente una protesi per tornare a correre.
 

 


[ Giordano Stabile ]