"I corridoi umanitari? Sono alternativi agli sbarchi"

Le associazioni: improprio evocarli quando si parla di soccorsi in mare. Dalla Caritas a Sant'Egidio alla Federazione delle chiese evangeliche, reazione compatta del mondo associativo alla decisione di collegare in modo capzioso le Ong a canali irregolari. Merkel: l'Italia non resti sola

Perplessità e stupore per l'uso «improprio» del temine «corridoi umanitari». E la terminologia usata dalla Commissione Difesa del Senato, nelle conclusioni dell'indagine sui soccorsi in mare delle Ong. Una definizione per mettere in guardia le Ong dal tentare di organizzare un canale irregolare di immigrazione. A sottolinearlo sono Caritas Italiana, Comunità di Sant'Egidio, Federazione delle chiese evangeliche, i promotori dei corridoi umanitari che - in pieno accordo col governo - stanno salvando dai campi profughi centinaia di profughi: 800 siriani dal Libano, tra poco eritrei, somali e sudanesi dall'Etiopia. Al punto 6, pagina 13 del documento conclusivo, votato all'unanimità e presentato martedì dal presidente della Commissione Difesa, il dem Nicola Latorre si legge: «In nessun modo può essere consentito dal diritto interno e internazionale, né desiderabile, la creazione di corridoi umanitari da parte di soggetti privati, trattandosi di un compito che compete esclusivamente agli Stati». Ieri a Berlino Angela Merkel durante il Labour 20 ha riconosciuto che «per la Ue è molto deplorevole che non abbiamo un sistema di redistribuzione comune e che l'Italia venga lasciata molto sola».
Alcuni giornali hanno dunque titolato «Stop ai corridoi umanitari delle Ong». «Quello che dice la Commissione difesa è un'ovvietà», afferma Oliviero Forti, responsabile area immigrazione di Caritas italiana. «Ed è molto chiara a chi opera nel settore, sia per il soccorso in mare sia per i corridoi umanitari. Sono tutti portati avanti assieme alle autorità. I salvataggi avvengono in coordinamento con la Guardia Costiera -ricorda Forti- e per i corridoi, dai ministeri dell'Interno e degli Esteri: queste persone entrano in Italia col visto rilasciato dalle autorità consolari». Perché allora inserire quell'affermazione? «Temo interpreti un retropensiero diffuso: "Non sgombriamo completamente il campo dai nostri sospetti". Dispiace, è come lasciar intendere che ci sia qualcuno che fa corridoi umanitari senza autorizzazioni. Viene da pensare che la Commissione non abbia voluto alla fine ammettere: non c'è nessuna collusione tra trafficanti e Ong. E, per ottenere l'unanimità, ha inserito affermazioni che non hanno senso né dal punto di vista tecnico-procedurale, né di contenuti». Creare «una lista di Ong accreditate e pretendere trasparenza - conclude Forti - è assolutamente condivisibile». Ma «quello che avviene in mare non ha nulla a che fare coi corridoi umanitari: si chiama salvataggio. È una terminologia sbagliata, che può alimentare sospetti. E chi soccorre naufraghi non può portarli in un porto senza l'autorizzazione della Guardia costiera». Concorda il pastore Luca Maria Negro, presidente della Federazione chiese evangeliche
in Italia: «E un uso improprio del termine. I corridoi umanitari che stiamo portando avanti con Sant'Egidio non si sarebbero realizzati senza il protocollo di intesa coi ministeri competenti. La proposta è arrivata da noi promotori una volta individuata la possibilità nel regolamento Schengen, e i ministeri l'hanno attentamente analizzata. Lo Stato ci mette le autorizzazioni e i controlli, noi tutto il resto». I corridoi umanitari, quelli veri, «sono esattamente un'alternativa agli sbarchi e una duplice sicurezza: per chi viaggia e non deve affrontare alcun viaggio in mare, e per i Paesi che ricevono, perché controllano in anticipo chi arriva. Dire "alt ai corridoi umanitari delle Ong" rischia di creare confusione e discredito: siamo stupiti. Il salvataggio in mare è doveroso, ma è tutt'altra questione».
«Sì, bisognerebbe usare termini corretti», concorda Daniela Pompei, responsabile per la Comunità di Sant'Egidio del progetto corridoi umanitari: «In mare si fanno i salvataggi di chi è a rischio naufragio. I corridoi umanitari sono stati pensati, chiaramente in accordo con lo Stato, per far arrivare in aereo profughi controllati dalle autorità. Nascono per evitare le morti in mare e sottrarre le persone ai trafficanti. Bisogna fare attenzione all'uso delle definizioni. In mare si può parlare solo di salvataggi, non di corridoi umanitari. È proprio un'altra cosa».


[ Luca Liverani ]