Preghiera della Santa Croce. Meditazione di Andrea Riccardi sulla lettera ai Galati 5,1-2.6

Meditazione di Andrea Riccardi sulla lettera ai Galati 5,1-2.6

Galati 5, 1-2.6
Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. 2 Ecco, io Paolo vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà nulla.
Poiché in Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità.


Care sorelle e cari fratelli,
quanto è forte la predicazione di Paolo: Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi. State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù.
Paolo vede innanzi a lui, frutto della grazia di Dio, uomini e donne finalmente liberi. Sono liberi gli schiavi, sono libere le donne, sono liberi i bambini, che erano niente nel mondo antico. Sono liberi gli indebitati, libera la piccola gente e diventa libero chi si considerava già libero.
Liberi dalla paura, e chi non ha paura, anche il più forte? Liberi dalla schiavitù, perché Gesù non solo perdona o apre il cuore, ma opera la liberazione. La vergogna della croce è diventata la grazia della liberazione. Dice Calvino: prendendo le catene su se stesso, Gesù le ha tolte agli altri.
Sono le catene del male, quelle catene che ci fanno talvolta fare il male che non vogliamo. Sono le catene che ci imprigionano nell’odio e nella paura. Sono le catene del nostro carattere, ma anche del nostro corpo. Sono le catene di un destino già segnato dalla situazione in cui nasciamo. Sono le catene di una cultura limitata, che non sa conoscere e non sa amare. Sono le catene delle guerre e degli odi nazionalistici o imperialistici che il mondo conosce di nuovo. Sono le catene di una condizione sociale, Cristo ha tolto le nostre catene e le ha prese su di sé.
Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi. Paolo grida la libertà in un mondo antico pieno di schiavi, ma anche in un mondo in cui si temevano le ombre oscure della realtà magica e misteriosa che volteggiava nell’aria sopra l’esistenza.
Liberi. Liberi come Israele dall’Egitto, liberi di andare verso una terra di libertà. Liberi, per amare quelli che sono ancora incatenati, i poveri, gli schiavi della guerra e dell’economia. Liberi, non schiavi dell’idolatria del denaro, liberi dalle tradizioni, liberi di dare e non di desiderare per sé. Liberi, cioè pienamente figli di Dio.
Ma che cosa succede ai galati, che hanno cominciato a sperimentare la libertà di Dio? Gli esegeti dicono che si erano insinuati maestri che affermavano che la libertà di Dio non garantiva abbastanza, che era meglio assicurarsi attraverso la circoncisione, il rispetto di alcuni calendari.
Si discute se fosse una forma di giudeo-cristianesimo o fossero una serie di superstizioni, ma è la storia di allora. Oggi, oggi però viviamo una situazione simile, viviamo la paura e la vertigine della libertà. Come un prigioniero che dopo tanti anni esce dal carcere, si trova spaesato; come un malato che dopo tanti mesi si alza dal letto, esce per strada.
Anni fa un indagatore dell’animo umano, Erich Fromm, scrisse un libro allora popolare, Fuga dalla libertà. I galati sono in fuga dalla libertà, ne hanno paura, cercano sicurezze, magari la circoncisione.
Anche noi, cari amici, abbiamo paura di essere troppo liberi, perché vuol dire non appartenere a nessuno e appartenere solo a Dio, perché vuol dire di dovere tutto alla grazia del crocifisso. Dopo i sogni giovanili, l’abitudine alla schiavitù riemerge. Un adulto può realizzare i sogni e ha paura di realizzarli nella libertà.
Il conformismo ci dà sicurezza, cioè adeguarci al comportamento della maggioranza, che ha i suoi maestri, i suoi profeti, i suoi terapeuti. E sempre Fromm dice che il conformismo è come una religione, sottrarsi ai suoi comandamenti genera insicurezza, anzi genera senso di colpa.
Il conformismo rassicura, non siamo tanto diversi dagli altri. E così si inabissa nella paura la grande liberazione di Cristo. Si perde l’audacia di una vita per amare, una vita nella fede.
Io mi ricordo molto bene quando Giovanni Paolo II, con voce forte, riprendeva l’apostolo Paolo con un grido appassionato, parlando della fuga dalla libertà. E diceva: ne cruxChristievacuetor, non venga svuotata la croce di Cristo. E appassionatamente Paolo scrive ai galati: non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Paolo li ha generati, li ha generati in Cristo, ma non perché fossero degli schiavi ben educati e gentili, ma perché fossero uomini liberi.
Il mondo ha bisogno di persone libere dalla schiavitù dell’odio, il mondo ha bisogno di persone libere dall’amore per sé, ha bisogno di persone libere dal rancore, dalla guerra, dalla schiavitù dell’egoismo, da quella avarizia insaziabile che è l’amore per il denaro. Il mondo ha bisogno di persone che costruiscano audacemente ponti, che liberino i poveri e che creino una pratica e una cultura della libertà.
Guardate, fratelli cari, a che cosa ci porta un mondo di schiavi e di tiranni, ci porta alla guerra. Ci porta alla esaltazione dei confini, ci porta alla esaltazione delle razze. Questa Europa che voleva fare schiavo il mondo, oggi è divenuta tristemente schiava di se stessa, delle proprie paure e dei propri idoli.
Non abbiamo paura della libertà, anche se la libertà dà un senso di vertigine. Perché questa vertigine è l’esperienza di chi sale in alto, sale verso il cielo di Dio. No, non è la circoncisione o la non circoncisione che conta, non è il conformismo che conta, non è l’anticonformismo, non sono i miei meriti e i suoi demeriti. Non è questo che ci rassicura. Ma la libertà vive, come dice l’apostolo, in una fede operosa per mezzo della carità.
E questo è molto bello, la libertà di essere credenti, fiduciosi, la libertà di essere operosi nella carità. Perché la carità è la sola che dona la felicità, agli altri e a noi, la carità cambia il mondo.
Sorelle e fratelli,
possiamo, ed è un auspicio che viene dalle pagine della Parola di Dio ed è un desiderio dell’apostolo, possiamo essere tutti donne e uomini liberi, felici della libertà, liberando altri e così rendendoli felici. Amen.